di Serena Cappellini

Milano, Teatro dell’Elfo. Il teatro è pienissimo, ci sono anche molti giovani. Rimango sorpresa e molto ben disposta: non capita spesso di vedere ragazzi cimentarsi con la storia di una dittatura lontana. Gli amici mi ringraziamo per averli portati a uno spettacolo ‘giusto’; concetto che ribadiranno a spettacolo concluso: “finalmente ho capito qualcosa della storia cilena”; “non sapevo molto su questo argomento”; “due ore senza intervallo sono state pesanti ma sono soddisfatto”.

Inizia lo spettacolo: una luce illumina una figura di donna che, in cima a quello che si rivelerà uno dei tre schermi, inizia a raccontare. Ci parla di una bambina che ha dovuto abbandonare l’Italia -nel’38-  per via delle leggi antisemite, di un padre professore che perde il lavoro e di una nave, che li porta lontano. E a questo punto i tre monitor diventano mare, oceano in bianco e nero che apre nuovi scenari.

La donna scende sul palcoscenico e ci rivela essere stata lei quella bambina, sua quella famiglia in fuga. E ricomincia a narrare, perché è grazie al racconto che prende vita lo spettacolo, fatto di piccole storie quotidiane indissolubilmente legate alla grande Storia. Irrompe sugli schermi la rievocazione del nonno che ripeteva sempre: “gli ebrei devono essere pronti a viaggiare leggeri, come semi, capaci di non voltarsi indietro, di ricominciare”; come fece lui, scappando dai pogrom russi per arrivare in Italia. Per poi ripartire.

E così l’Italia si lega al Cile, paese che accoglie la bambina e la trasforma in donna. E in madre. Madre di una bambina problematica che finirà in istituto e di José, detto Pepo. Sulla scena un giovane attore farà rivivere Pepo bambino e poi adolescente che, insieme alla madre, vive il Golpe di Stato dell’11 settembre 1973 tramite il quale Augusto Pinochet rovescia il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, primo presidente socialista. Il pubblico può facilmente rivivere con loro questa drammatica situazione grazie alle immagini storiche proiettate sui tre schermi: scelta efficace poiché -ancora una volta- si lega la grande Storia a quella famigliare.

Mamma e figlio sono costretti a lasciare il paese in quanto ricercati politici: la madre, una delle prime donne geologhe del Cile, era stata affiliata al PC e Pepo militava nelle associazioni studentesche. Entrambi sono afflitti dalla separazione con il resto della famiglia, la vita in esilio per il giovane non è facile e dopo aver frequentato una scuola militare in Bulgaria, decide infine di tornare a combattere per liberare il proprio paese.

Attraverso lo spettacolo Pepo cresce e diventa il militante Ernesto, del Frente Patriótico Manuel Rodríguez, un movimento armato di ispirazione leninista-marxista. Il legame con la madre si fa ora difficile, intermittente. La donna è anziana, vive in Svezia, mentre lui è tornato in Cile, in clandestinità, per combattere. A lottare per quegli ideali che erano della madre, in crisi tra la volontà di difendere il proprio figlio e l’amore per la libertà. È lo stesso Ernesto che ci racconta il suo 7 settembre 1986, quando è alla guida dell’Operación Siglo XX, uno tra diversi attentati falliti ad Augusto Pinochet, il dittatore cileno. 

“L’Acrobata” è uno spettacolo che rivive grazie ai ricordi, ai dialoghi intessuti e a quelli mancati. Alle parole non dette, ai legami fatti di assenze. Si tratta di ricordi difficili, che la donna ha voluto dimenticare per diverso tempo… Pepo-Ernesto per quei valori è morto, assassinato pochi mesi dopo l’attentato, durante la Matanza del Corpus Christi, un falso enfrentamiento nel quale sono stati crudelmente uccisi 12 guerriglieri. Pepo è uno dei tanti -troppi- giovani che hanno perso la vita durante la dittatura pinochetista. Ma Pepo ha lasciato un figlio, che ora è grande e vuole scoprire chi fosse suo padre, che vuole conoscere la storia del suo Paese. Ed è grazie a lui che la nonna trova il coraggio di raccontare -a lui e a noi- la storia delle loro vite.

Questo spettacolo dunque, sebbene veda sul palco soltanto due attori, diventa un racconto corale, anche grazie al strategico utilizzo degli schermi. Lo spettatore conosce dunque la madre-bambina, poi donna, poi mamma e infine nonna, e nelle varie fasi della sua vita ci racconta di sé e del Cile intero. Conosciamo il nonno, il padre, il marito, la figlia, il figlio e il nipote; ciascuno nella relazione con lei e nei suoi ricordi.

Non mancano momenti di autonomia ma ciascuno dei personaggi è legato a lei, come se lei rappresentasse la storia umana, contenitore e ripetitore di vite, di storie di libertà, di vita e di morte.

Serena Cappellini è dottoranda in Lingue, Letterature e Culture Straniere presso l’Università degli Studi di Milano. Laureata con il massimo nei voti nel 2017 con una tesi dal titolo “Letteratura testimoniale del Cono Sur: l’immaginario sociale come nuova prospettiva di analisi”. I suoi interessi di ricerca di focalizzano sulla memoria culturale, sui diritti umani e sull’immaginario sociale nella narrativa cilena del XX e XXI secolo.

L’Acrobata è uno spettacolo di Laura Forti, con Cristina Crippa e Alessandro Bruni Ocaña, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 4 febbraio 2018.
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