Abbiamo chiesto a Giorgia Esposito, che insieme a Maria Nicola è autrice della traduzione italiana di Regno Animale. Prosa poetica dell’acqua e del vento, di raccontarci cosa abbia significato per lei confrontarsi con la voce del Premio Nobel Gabriela Mistral. Quello che Giorgia ci offre è anche un’utilissima guida alla lettura del libro.

In un’intervista pubblicata nel 2001 sul quotidiano di Santiago del Cile Las Últimas Noticias, Roberto Bolaño afferma che Gabriela Mistral «era un extraterrestre smarrito in Cile, in America Latina, che non riusciva a mettersi in contatto con la sua nave madre affinché qualcuno andasse a recuperarla. Per questo la sua vita, in certe occasioni, somigliò a un incubo. I suoi pellegrinaggi non erano altro che tentativi di incontrare altri naufraghi del suo pianeta». Gabriela Mistral era un extraterrestre e una gigante, per la statura sia della sua persona fisica sia della sua opera. Alieno e straordinario è anche l’uso che fa della lingua: una ricerca continua di collocazioni inedite e di musicalità. Insomma, un vero rompicapo per i traduttori. Quando si lavora a un testo della complessità di Regno Animale, e non è possibile fare delle domande all’autrice, due occhi non sono sufficienti. E nemmeno due paia di orecchie bastano per cogliere il ritmo quasi onirico della voce di Mistral, in cui le frequenti assonanze in posizione finale di frase danno allo scorrere del testo un andamento ipnotico, a metà strada fra il sogno e la filastrocca (è possibile ascoltare la sua voce qui). Senza afferrare la voce dell’autrice, non è possibile seguire i continui cambiamenti dei punti di vista: il soggetto sintattico e quello semantico si avvicendano, quasi s’inseguissero. Per questo l’io narrante che racconta del mare può diventare il mare, e il barbagianni «dall’occhio sanguigno di un Macbeth collerico» può all’improvviso rivolgersi a una seconda persona singolare, dando inizio a un dialogo tra due insonni al limite della notte, in cui il “tu” è forse la stessa Mistral che, di fronte all’invito dell’animale a «trovare in te un pensiero che contenga questo silenzio. E quando la notte sarà passata, vedi se riesci a trovare una strofa lieve quanto il mio volo obliquo», risponde: «Tu sei il Demonio Bianco, e hai il volo obliquo di cui ho visto il lampo qualche notte. Perché anche il mio occhio si arrossa nella veglia». In certe occasioni, ricordava Bolaño, la vita della poetessa somigliò a un incubo, e l’incubo, nel regno mistraliano, è rappresentato dall’oceano che ha perso il suo primogenito, l’albatro, e che senza di lui è «come la tela sul cavalletto vergine di pennellate, un deserto azzurro che sbadiglia». La ‘nave madre’ alla quale Mistral si rivolge è il sogno di un mondo in cui ogni essere animato possa esprimere e realizzare il suo canto, il quale, a dispetto dell’incubo del reale, è un canto di gioia e di armonia universali. Abbiamo deciso di restituire alla lingua italiana quest’opera ricorrendo a quattro occhi e a quattro orecchi che, insieme, hanno provato ad abbracciare nel modo più scrupoloso possibile la vastissima visione della scrittrice cilena. Per ogni brano ci sono state tre stesure: le prime due, frutto del lavoro autonomo di ciascuna traduttrice (Maria Nicola ed io), sono state poi rilette insieme, ad alta voce, per approdare infine a una terza versione, in certi casi molto diversa rispetto alle due precedenti. Quando le interpretazioni del testo differivano, lasciando spazio a due chiavi di lettura in apparenza ugualmente accettabili, ci siamo rivolte a un terzo: l’amico e traduttore cileno Jaime Riera, che ci ha illuminato su alcuni riferimenti alla cultura e alla geografia del Cile che ci erano sfuggiti o ci erano chiari solo in parte. Consapevoli che nessuna traduzione è quella definitiva, a qualcuno spetta tuttavia il compito di cominciare, affinché il tempo possa dare a ciascun Edgar Allan Poe il suo Baudelaire e a ciascun William Blake il suo Ungaretti.