Era una compagnia tedesca, disse. Era arrivata per installare la luce elettrica. Numerosi operai e tecnici con cavi, lampadine e pinze sbarcarono a Plaza de Ar­mas, il primo posto di tutta Santiago a essere illumina­to. Disse che il lavoro richiese molti anni. Non speci­ficò quanti, ma immagino che si trattò di un numero sufficiente affinché uno di quegli elettricisti tedeschi co­noscesse una donna e facesse con lei quattro figli cileni. Due brunetti con gli occhi azzurri, una bimba bionda dai capelli ispidi e per ultimo uno dai capelli rossi.

Una sera la madre informò i bambini che sarebbe­ro andati in centro. Il padre aveva terminato parte del lavoro e in piazza si sarebbe celebrata una cerimonia. I due brunetti, la biondina e il bimbo dai capelli ros­si uscirono di casa e si incamminarono per le strade semioscure, illuminate a malapena dalle piccole lam­pade a olio che qualcuno aveva acceso all’imbrunire. La bambina bionda andava mano nella mano con sua madre, così mi disse. Le ombre dei loro corpi si proiettavano lungo i muri e sulla strada, avanzavano alle loro spalle senza staccarsi dai loro piedi. Quella di sua madre era piccola e sottile. Quella di suo fratello il rosso, inquieta e frettolosa, correva davanti alle altre. La sua, piccoletta e dalle gambe sottili, era un’ombra tanto scura che il solo guardarla le metteva paura, così mi disse. Non importava quanto si affrettassero né che svoltassero gli angoli velocemente, le ombre rimane­vano sempre lì, dietro di loro, facendo il loro stesso percorso, seguendo i loro passi, ingoiando il momento appena trascorso.
Dopo una lunga camminata, la bambina giunse a Plaza de Armas con i suoi fratelli e la madre. Lì incon­trarono altri bambini, donne e uomini in attesa dello spettacolo della luce elettrica. La piazza era piena di gente. I nonni utilizzavano i banchi e la scalinata della cattedrale come sedie. Sulle spalle dei genitori, i bam­bini si sporgevano cercando di vedere. C’erano persino gli animali, cani, galline e alcune mule, così mi disse. Nessuno voleva restare escluso. Centinaia di teste e di corpi con le rispettive ombre aspettavano riuniti nella pubblica piazza, in attesa dell’illuminazione.
Non so come tutto sia cominciato. Non ricordo se lei me l’abbia raccontato o meno. Forse ci fu una cerimonia. Qualcuno fece un discorso dall’alto di una pedana montata per l’occasione o sulla scalinata della cattedrale. Probabilmente si parlò del progresso, dei tempi venturi, del futuro che stava arrivando e che si sarebbe manifestato lì in quella notte, nella penombra del chilometro zero della città, nell’ombelico del paese. O forse non ci fu nessun discorso, ma semplicemente un signore tedesco dalla testa bianca che contò fino a tre ad alta voce: eins, zwei, drei.

Forse subito dopo azionò l’interruttore e così, velo­cemente per non svelare il trucco, ognuno dei lampioni installati nella piazza si accese nello stesso momento re­galando al pubblico un numero di illusionismo al quale prima d’allora nessuno aveva mai assistito. La gente ammutolì. Restammo a bocca aperta, così mi disse. Non volava nemmeno una mosca, tutto era silen­zioso mentre osservavamo le lampadine accese.

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