Nella cornice dell’ultima edizione di Encuentro, il festival delle letterature in lingua spagnola che si svolge ogni anno a Perugia, la scrittrice Simona Baldanzi ha incontrato Nona Fernández, arrivata in Italia per presentare i suoi libri. Questo articolo, pubblicato su Il Libraio e dedicato a Chilean Electricnasce dalle lampadine che si sono accese quel giorno, quando la scrittura ha dimostrato ancora una volta di poter “illuminare la temibile oscurità”.

di Simona Baldanzi

Chilean Electric di Nona Fernández (traduzione di Rocco D’Alessandro) inizia con l’immagine di una bolletta della luce. Non è un vezzo, un orpello. La bolletta è un foglio familiare che entra nelle case di tutti, è il prezzo della luce che paghiamo e se non lo facciamo nel tempo corretto, ci sono anche gli interessi o rimaniamo al buio. Un oggetto di casa e un monito che piano, piano si dispiega nel racconto intrecciando ricordi, visioni, riflessioni, realtà e immaginazione, quasi fossero le voci in conto della bolletta.

La nonna della protagonista racconta della prima volta che Plaza de Armas, la piazza principale di Santiago, in Cile, nel 1883 viene illuminata dalla luce elettrica ed è fascino e spavento e mistero insieme e così queste emozioni caratterizzano la vita di una persona, di una famiglia, così come dell’intero paese. La luce elettrica caccia le ombre eppure fa paura, si espande come la peste e crea, moltiplica una voglia di luce inarrestabile. La città sempre accesa è una città vigile, che non può permettersi di rilassarsi e che ti controlla: i pali della luce sono grandi occhi che guardano, di orwelliana memoria. La luce poi si prende gioco del tempo, lo amalgama, rischia di confondere tutto.

Allora c’è bisogno del racconto, di accendere le storie per illuminare il passato e Nona Fernández lo fa abilmente rendendo l’idea chiara, nella scrittura, dell’interruttore, del continuo passaggio fra luce e ombre, negli scatti, nel gesto, nel battito della palpebra. Accetta la sfida, più volte ripetuta, dell’illuminare con la scrittura la temibile oscurità e lo fa a partire dalle parole che eredita dalla nonna.

Dalla nonna impiegata, oltre i ricordi o le storie caricate di operose menzogne, riceve una macchina da scrivere e un corredo di parole burocratiche da cui partire per farsi domande. L’autrice cilena dichiara che il suo lavoro di scrittura “si limita a registrare”, come la burocrazia, come la bolletta, ma quando ci riporta il ricordo di Salvador Allende, una voce registrata che si espande, che ci chiede con energia, più passione e più amore, anche il racconto si allarga, si irradia, avvolge. Il registro elettrico e freddo diventa coinvolgente e così vediamo con nitidezza gli idranti che spengono le candele, vediamo i volti degli scomparsi che vengono stampati in bolletta, vediamo il corredo scolastico della protagonista del romanzo, il tintinnio delle luci dell’albero di Natale.

La storia del Cile è la storia della cerimonia della luce e Nona Fernández ce ne parla a partire dalle lucciole di Pasolini. “Io non ho mai visto una lucciola. E non so nemmeno se in Cile esistano, o se come in Italia facciano parte di un passato impossibile da resuscitare. Quando penso a quelle lucciole inesistenti mi viene voglia di avventurarmi e decifrare la scena che mi ha regalato mia nonna, raccontandomi che la storia del Cile può essere divisa allo stesso modo a partire dalla cerimonia della luce. Un prima e un dopo. I tempi dell’ombra e i tempi della luce. Potrei dire che ci sono state cose fondamentali che sono state giustamente illuminate, mentre altre sono state tristemente abbagliate e bruciacchiate dalle lampadine della piazza”. Da qui, un elenco di pensieri che ripercorrono il libro come passi sulle vie di Santiago del Cile e attraverso il lavoro preciso, pulito e coraggioso di Nona Fernández, osserviamo, trascriviamo, illuminiamo con la letteratura. Una letteratura che affonda le mani in quella sudamericana, ma trasformando e mischiando registri e quindi innovando, come a far volare falene e led nello stesso cielo.

La luce si spegne, o forse si accende.

Un romanzo cileno questo, che rimane, come la lucina notturna a vigilare sul letto mentre dormi.

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Fiorentina classe ’77, nata in una famiglia mugellana di operai del tessile, Simona Baldanzi  esordisce nel 2006 con il romanzo Figlia di una vestaglia blu (Fazi), che narra proprio le esperienze lavorative operaie tessili ed edili in Mugello. L’attenzione per i problemi della propria terra, le tematiche legate all’ambiente in cui è cresciuta permeano tutta la sua opera di scrittrice, come evidenziano i libri Mugello sottosopra. Tute arancioni nei cantieri delle grandi opere (Ediesse) e Il Mugello è una trapunta di terra (Laterza). Il suo ultimo romanzo Maldifiume. Acqua, passi e gente d’Arno (Ediciclo) è una guida turistica e, allo stesso tempo, una narrazione paesaggistica e umana, descrittiva, che si svolge lungo le sponde dell’Arno.