Su La Piazza Lucio Carugno parla del libro di Gianluca Di Renzo, La gente morta non si diverte.

La prima sorpresa è la scoperta di una casa editrice “garibaldina”, perché vive, come il nostro eroe nazionale, su due continenti. Infatti Edicola, un progetto editoriale di Paolo Primavera, ha radici qui a Ortona e a Santiago del Cile e si dedica alla scoperta di nuovi talenti. E Gianluca Di Renzo è il nuovo talento. Il volume (96 pagine) che presenta, La gente morta non si diverte, è una raccolta di racconti.

Guido Almansi, critico e qualcosa di più, disse una volta che gli scrittori si dividono in due categorie asimmetriche: la prima, la più numerosa, scrive di ciò che conosce; l’altra, più esigua, di ciò che non conosce. Forse non si riferiva alla solita divisione anglosassone di novel (romanzo realistico) e romance (romanzo fantastico). Si trattava, forse della distinzione fra chi poneva al centro del racconto la propria esperienza e chi vi rinunciava in maniera aprioristica. Di Renzo dovrebbe far parte della prima categoria (ed è in buona compagnia: tutti gli scrittori di oltreoceano fanno parte del club).

La Piazza - Di Ren

Tutti i racconti prevedono un protagonista maschile che, nella seconda e terza parte, è di evidente calco autobiografico, mentre nella prima parte sembra essere una proiezione dell’autore. Emerge un protagonista che nelle storie della contemporaneità rivela una costante inadeguatezza al vivere, e per questo è interessante. Mentre nella prima parte, dove abbondano storie di un Abruzzo del passato, i vari personaggi che si susseguono sembrano essere in pace col loro destino e quindi più adeguati all’esistere. Ecco perché parlavo di proiezione verso una figura sentita come ideale: il nonno, lo zio. Manca il padre.

Per riparlare un po’ di tecnica, però, mi soffermo sul racconto che apre la raccolta (La vera storia di John Fante a Torricella). Qui la parte migliore è il sottofinale e cioè l’incontro fra Nicola e lo scrittore. Di Renzo sceglie il campolungo, cinematograficamente parlando; descrive i gesti dei due visti da lontano omettendo le parole. Così la sequenza acquista un che di favoloso: favola è un’immagine vista da lontano.