Il 23 novembre esce in libreria «Sulle corde del tempo» che racconta attraverso il dialogo tra lo scrittore Federico Bonadonna e il musicista Jorge Coulón, tra i fondatori, la storia del leggendario gruppo degli Inti Illimani. Ve ne proponiamo un estratto.

«Gli ultimi mesi di Unidad Popular sono stati molto difficili. Attraverso il progetto FUBELT, Nixon e Kissinger finanziavano la destra cilena con l’obiettivo di fare scoppiare l’economia cilena, dal momento che la via democratica al socialismo di Allende rappresentava un precedente pericolosissimo per i conservatori americani. Gli USA avevano drammatizzato ulteriormente la loro strategia di destabilizzazione dopo che nelle elezioni parlamentari del marzo 1973, Unidad Popular aveva superato il 44%, malgrado la destra avesse semi paralizzato il Paese con lo sciopero dei medici (all’epoca esisteva solo la sanità pubblica) e dei camionisti. Inizialmente il governo aveva messo i militari alla guida dei camion, ma gli eversori saldavano gli automezzi l’uno con l’altro, così da renderli inutilizzabili. Del resto i camionisti ricevevano soldi dalla CIA e quindi guadagnavano di più stando fermi che lavorando. Nonostante questo, la popolarità di Allende cresceva, come fu dimostrato dalle elezioni. La gente sapeva che gli USA stavano boicottando il presidente di un governo da cui si sentiva rappresentato, che sentiva come proprio. Questo è un fatto che non ho mai più visto altrove, se non forse a Cuba nel 1972. È anche vero che negli anni del governo dell’Unidad Popular la gente leggeva moltissimo, si informava, il governo Allende sosteneva la cultura e la scuola. C’erano iniziative come Editorial Quimantú, una casa editrice popolare che nei tre anni di governo Allende vendette quattro milioni di libri, al costo ognuno di un pacchetto di sigarette. A gennaio 2022 la televisione cilena ha trasmesso per la prima volta La batalla de Chile, lo straordinario film documentario di Patricio Guzmán e il giorno dopo la gente in strada si stupiva per il linguaggio colto degli operai in quel periodo. 
Così, dopo le elezioni vittoriose del marzo ‘73, i giornali iniziarono a martellare i lettori parlando di guerra civile, di catastrofe imminente se Allende avesse continuato a governare. È stato allora che Sergio Ortega ha scritto El Pueblo Unido Jamás Será Vencido. Credo fosse l’aprile del 1973 quando, davanti alla Biblioteca Nazionale di Santiago, durante una manifestazione, i Quilapayún l’hanno cantata per la prima volta. In quel periodo, c’erano manifestazioni praticamente tutte le settimane: della destra contro Allende, della gente per appoggiare il presidente… Quando l’ho sentita mi ha impressionato: ho capito subito che era una canzone importante. In quel momento, uno degli slogan dei manifestanti era: la izquierda unida jamás será vencida. Sergio Ortega prese questo slogan – che in Italia era una cosa tipo: “Uniti sì, ma contro la DC” – e lo trasformò in El Pueblo Unido Jamás Será Vencido, anche per sbarrare la strada alle tentazioni dell’ultra sinistra, che spingeva la gente ad armarsi contro la destra, una roba alla Robespierre, anticostituzionale. L’idea di un fronte ampio apparteneva al pensiero comunista. L’unità doveva essere più larga possibile, perché la situazione era drammatica. Sergio lo capì e scrisse la canzone. Si fece una specie di riunione con Ortega a casa di Eduardo Carrasco intorno al suo pianoforte, a cui parteciparono anche Horacio Durán e il resto dei Quilapayún. Fu in quell’occasione che si scrisse il testo sotto la guida di Ortega. Casualmente, sia noi che i Quila lasciammo il Cile un paio di mesi prima del golpe. In quel periodo Víctor Jara era in Perù, tornò poco prima dell’11 settembre. Noi partimmo a luglio per la tournée in Europa, i Quila ad agosto. La canzone dilagò mentre eravamo in esilio e il suo significato reale è stato capito solo dopo il golpe.»