di Paolo Primavera

Vista dopo mezzo secolo, l’impresa assume toni ancor più epici.
Cinquant’anni fa la vita dell’uomo comune era senz’altro più lineare e lenta della velocissima esistenza dei giorni nostri, dove le tecnologie e la rete quasi annullano le distanze. Posso solo immaginare i volti dei miei nonni, raggruppati di fronte a un televisore in bianco e nero che il 20 luglio 1969 trasmette l’allunaggio, e quell’invidia collettiva nei confronti di Armstrong mentre passeggia sul luogo che per il mondo intero rappresenta la sorgente primaria di desideri e romanticismo.

 

 

Ma non tutti sanno che questa storia avrebbe potuto avere un epilogo diverso, e che al posto della bandiera americana ci sarebbe potuta essere quella cilena.
Jenaro Gajardo Vera è stato un avvocato e poeta cileno diventato famoso, almeno in patria, per essersi legalmente proclamato, il 25 settembre del 1954, legittimo proprietario della Luna. Lo fece sfruttando un vuoto legale, pubblicando l’atto notarile sull’equivalente della Gazzetta Ufficiale cilena per tre giorni consecutivi e aspettando per un mese che qualcuno reclamasse la Luna. Nessuno lo fece e Jenaro ne divenne il proprietario.
Iniziarono così la fama e le malelingue: si diceva che l’avesse fatto per donarla a sua moglie o che si fosse rovinato di debiti, dato che l’Agenzia delle Entrate cilena l’aveva immediatamente tassato, ma Jenaro in diretta televisiva su Sabado Gigante, rivelò a Don Francisco il motivo del suo atto: Non è di mio gusto la maggior parte della gente che abita il pianeta Terra, non mi piace che non siamo ancora in grado di eliminare l’odio, l’invidia, la maldicenza e il rancore.” In seguito spiegò che il suo sogno era quello di creare sul satellite una società ideale.

Ma Jenaro Gajardo Vera non si fermò qui e nel 1955 si dichiarò, con successo, proprietario della Luna anche negli Stati Uniti. “Un mare di gente mi dice che sono pazzo, ma nessuno mi ha mai detto che sono stupido.” E fu così che dopo qualche anno ricevette dall’Ambasciata degli Stati Uniti a Santiago un comunicato del presidente Nixon: “Le sollecito, in nome del popolo degli Stati Uniti, l’autorizzazione per la discesa degli astronauti Aldrin, Collins e Armstrong sul satellite lunare di sua proprietà.”, al quale Jenaro rispose: “Nel nome di Jefferson, di Washington e del gran poeta Walt Whitman autorizzo la discesa degli astronauti sul satellite lunare di mia proprietà, e quello che più mi interessa non è solo l’allunaggio di questi valorosi astronauti ma soprattutto un felice ritorno in patria.

Jenaro Gajardo Vera rimase il legittimo proprietario della Luna fino alla sua morte, avvenuta nel 1998. Sul testamento fece scrivere: “Lascio al mio popolo la Luna, una Luna piena d’amore per le sue pene.” Una dichiarazione d’amore per la popolazione cilena, martoriata da una lunga e violenta dittatura, una dichiarazione d’amore che va ben oltre il concetto di proprietà e che si trasforma in uno dei più memorabili atti poetici della storia dell’umanità.

Letture consigliate: Kramp, di María José Ferrada, tradotto da Marta Rota Núñez, di cui riportiamo un breve estratto.

“D cominciò la sua carriera vendendo articoli di ferramenta: chiodi, seghetti, martelli, chiavistelli e spioncini per porte, marca Kramp. La prima volta che uscì con la valigetta dalla pensione in cui abitava, non trovò il coraggio di entrare nel ferramenta principale della città, che a quei tempi era un paese, finché non ci fu passato davanti trentotto volte.

Quel primo tentativo di vendita coincise con il giorno in cui l’uomo mise piede sulla Luna. L’intero vicinato si riunì per guardare l’allunaggio con un proiettore che il sindaco aveva piazzato sul balcone del suo ufficio, e che sparò l’immagine su un lenzuolo bianco. Visto che l’audio non c’era, in sottofondo suonò la banda dei pompieri.

Nell’istante in cui vide Neil Armstrong muovere il primo passo sulla Luna, D pensò che, con determinazione e il completo giusto, tutto fosse possibile.

Così il giorno dopo, alla fine della passeggiata numero trentanove, entrò dal ferramenta, con le scarpe più lustre che si fossero mai viste nella storia della città, per offrire al negoziante i prodotti Kramp. Chiodi, seghetti, martelli, chiavistelli e spioncini per porte. Non vendette nulla, ma gli dissero di tornare la settimana successiva.

D andò a bersi un caffè e appuntò su un tovagliolino: ogni vita ha il suo allunaggio. Quando, più tardi, raccontò a suo padre che l’uomo era arrivato sulla Luna, lui gli disse che quella era una messinscena bella e buona, che Dio aveva creato l’uomo senza ali e coi piedi per terra, e che tutto il resto erano baggianate del presidente degli Stati Uniti. A ogni modo, la settimana dopo D mosse un passo in nome della sua stessa umanità: vendette mezza dozzina di seghetti e una di spioncini per porte. Quando uscì dal ferramenta con l’ordine nella valigetta, sentì che ogni felicità, grande o piccola, meritava di essere proiettata nella piazza di una città.