Anche se ce la possiamo godere poco, la primavera sta arrivando e per festeggiarla insieme ai bambini abbiamo invitato amiche e amici dal Cile e dall’Italia a leggere alcuni brani del bellissimo “Regno animale” della poetessa Premio Nobel Gabriela Mistral, un tesoro di brillanti racconti e preziose illustrazioni alla scoperta del regno degli animali. Alcune letture sono in italiano e altre sono in spagnolo, perché anche in questa situazione che ci chiede di stare distanti gli uni dagli altri, è grazie ai libri che possiamo continuare a sentirci vicini. La traduzione dell’edizione italiana è a cura di Maria Nicola e Giorgia Esposito. Se desideri approfondire il libro clicca qui; se invece vuoi conoscere più da vicino l’affascinante figura di Gabriela Mistral ti consigliamo la lettura di questo articolo, scritto dalla nostra Alice Rifelli per Il Libraio.

 

Marcela e Malena leggono
El cocodrilo / Il coccodrillo

Laggiù il fiume fa due grosse pieghe.
Non c’è da preoccuparsi: è una piroga
sommersa, mica il coccodrillo.
Come potrebbe il coccodrillo starsene
immobile per anni nel battere della
corrente, con le grida dei vogatori?
Dev’esserci di tutto ormai nella piroga
affondata, perché di tutto c’è caduto.
I quattro bambini, che al mattino facevano
il bagno nel fiume, sono passati di là.
Il gregge attraversava a guado, da quella
parte, ed è andato a fondo anche lui. E ieri,
il nero che costeggiava il fiume per cogliere
i fiori degli isolotti, è rimasto abbagliato dai
riflessi ed è caduto…

Una piroga lunga, molto lunga, coperta
come un baule dalla vegetazione di foglie
rigonfie e dai muschi della corrente.
Quando il villaggio sarà in miseria e vi
regnerà la fame, qualcuno lancerà l’idea di
tirar su eroicamente la gran piroga, in cui ci
saranno gioielli da donna, e perfino avorio.
Sarà come portare a galla un castello delle fiabe.
Ma ecco che comincia ad alzarsi da sola, la
piroga verde come un pontile sommerso.

Ed era lui. Accidenti!

 

Sara, Nora e Leda leggono
El carpintero / Il picchio

«Io sono il battito del bosco. Chi sa dove
sono le tempie, i polsi e il cuore del bosco?
Io batto in queste tempie e in questa boscaglia.

Non voglio spezzare l’albero, ma svegliarlo.
Gli alberi sono rimasti così, in questa
sonnolenza, per un sortilegio. A tratti gli si
risveglia la chioma e quasi parlano.
Allora io affretto il mio trapano.
Che spettacolo quando noi picchi saremo tanti
da risvegliare il bosco tutto intero!

Lì, nel midollo di ogni albero, si trova il
seme del sonno, la lunga mandorla del
sonno, che li tiene così, e con il mio becco
giallo la cavo fuori.

Mi affanno con tanta passione, su questo
castagno immenso, che a forza di testate
mi sono insanguinato il sommo della fronte.

Perché il mio Dio, il bosco, deve starsene
assorto fra le acque che corrono e le
nuvole che passano di sopra invitandolo?

Non sono stanco; almeno grazie a me udite
questo battito del bosco.

Vi hanno detto che mi fabbrico soltanto
un odoroso astuccio di legno dove
ripormi. Non è vero, questo lo fa col fango
qualunque tordo profittatore.

Io scioglierò il bosco dall’incantesimo,
finché non danzerà tutto intero come il
pastore, col fogliame rigonfio e con le radici
vive, battendo il tamburo del terreno».

 

Maria e Alessia leggono
La ballena / la balena 

Il mare era stanco di giocare con bagatelle:
bagatelle erano le ostriche, nonostante la
piaga con dentro una perla; erano i polpi
e anche le tartarughe che, con tutto che
pesano, lui sposta con un dito solo. Volle
perciò una cosa da adulti da poter toccare
e prendere a manate quand’è contento
e che almeno gli ci volesse un’onda per
ribaltarla. E così gli venne in mente la balena.

La balena, nata in una dispensa troppo
grande, ha mangiato tanto, ed è ancora lì,
talmente grassa che non può girarsi se la
punge… una pulce di mare.

«Quando la dispensa si impoverirà» dice,
«allora dimagrirò; per ora c’è quanto basta,
e avanza». E aspetta che finiscano i pesci.

In verità le piace essere grassa. Il mare
non sta mai fermo, e dentro è tutto uno
sballottolio. Lei riesce a trovare riposo,
un certo riposo, grazie alle sue molte tonnellate.

Poca letteratura ha la balena, ed è un
peccato. Io conosco il fatto – ma non so
farmene una ragione – di un bimbo di tre
anni che s’infilò nella sua bocca insieme a
un branco di pesciolini e si perse tra i suoi
fanoni per cinque anni, come nel Mar dei Sargassi
o come in una delle nostre selve,
e ne uscì, già grandicello, un bel giorno che
la balena mise ad asciugare le sue barbe.

Quando Giona viaggiò dentro di lei era,
come si sa, in preda al pentimento, e
piangeva la sua disgrazia con lamenti da
profeta, attirando in questo modo pesci
da ogni dove. La balena è solitaria per la
dignità della sua mole; l’assedio che aveva
intorno la infastidiva e abbandonò Giona
sulla prima spiaggia.

Conosco la storia di un altro che rise di
lei vedendo la sua immagine a scuola e
volle mandarla a dimagrire nel deserto.
Da allora sogna ogni notte la balena; lei
arriva quando lui scivola nel sonno, ed è
nella sua gran bocca che lui cade, e resta lì
dentro finché è giorno, in una notte brutta
e soffocante.

Tutto il grasso del mare – ce n’è tanto e lo
fa luccicare – penetra in lei, i pesci restano
magri, fantasticamente aguzzi, e la balena
per farsi perdonare si lamenta ogni giorno
del suo grasso; ma non è vero che vuole
dimagrire. Finché non la sentono i balenieri
dalla barca, la infilzano con l’arpione, la
sollevano come la Grande Piramide sopra
il mare – spaventato di ciò che in lei ha
fatto – la posano sulla sabbia e la aprono in
squarci di biancore.

Allora lei, che è donna, chiede di andare
nella cucina delle donne, in vasetti di
porcellana bianca, per riposarsi dall’oceano
che tanto l’ha affaticata. Ma i pizzicagnoli
la informano che non è adatta per fare lo
strutto che mangiano le donne.

Disossata, è ancora più grande. I balenieri
la guardano, pensano al Giorno del Giudizio
e mettono da parte le ossa per sostenere il
mondo quando cadrà.

Sulle coste della Groenlandia e della Terra
del Fuoco ci sono le ossa delle balene con
cui il mondo tornerà a mettersi in piedi,
in modo che possano viverci ancora le
balene…

Tutti dicono di aver visto la balena. L’ho
vista anch’io, navigava verso Sud, in un
giorno di bruma. Poteva essere un’altra
imbarcazione, poteva essere un lastrone di
ghiaccio, ma perché non dovrebbe essermi
toccata una balena, dopo tanti e tanti viaggi?

Negli album di animali e anche nei musei,
i bambini non sanno che farsene degli altri
animali una volta che hanno visto la balena
e l’elefante. Sempre quei due. Perciò gli
altri animali sono pieni di rancore. La
coccinella minaccia la gigantessa con la sua
mostarda vermiglia e la libellula si carica di
elettricità volando contro l’elefante…

Gonzalo, Magda, Pedro e Ugne leggono
Las golondrinas / le rondini

A loro la forma della torre non piace, e
ogni sera ne tracciano un’altra, un’altra dai
fianchi più agili, una torre migliore.

Eccole che rifanno, come tutti i giorni, il
disegno nel pallore della sera, che è come
una lavagna d’oro.

Così… Così… Così…

Naturalmente, non è compito loro
costruirla. Tocca a quelli di sotto. Ma a
quest’ora i muratori che sono tornati
stanchi siedono sulla soglia delle loro case,
dicono buffonerie alla moglie e neanche la
guardano, la torre nuova.

E l’architetto che vive lì sulla piazza,
a quest’ora legge sul giornale l’ultimo
pettegolezzo su Monsieur Poincaré.
Le rondini fanno uno strepito di grida
nell’aria ferma, come la cuffia della
beghina. L’architetto non alza gli occhi.
O li alza solo se qualcosa dall’alto gli cade
sulla testa, una goccia bianca, che non è
latte cagliato… Si pulisce e dice:
«Che insolenti!».

Continuano a tracciare la torre. Se l’aria
fosse un po’ meno leggera, se avesse
almeno lo spessore della peluria del
cardo, sarebbe già tutta tessuta, da quei
duecento aghi appassionati, tessuta fino
a terra, perché loro salgono e scendono
dalla piazzetta alle nuvole. E invece no:
l’aria è una cosa piuttosto arida nella quale
nulla permane, tranne i cattivi odori di una stalla.

Aguzze, ora passano radenti sul fiume, con
l’ala spiegata. Invitano l’acqua, e nemmeno
lei si presta.

Su, su, su! Prima della notte, s’alza la
nebbia e si accomoda al disegno che trova
nell’aria. Ed eccola, la torre nuova, più
bianca e con fianchi più delicati dell’altra.
Era quello che volevano.

Ma il giorno seguente non c’è più, e le
rondini tornano al loro progetto frenetico,
con duecentoquaranta compassi blu sulla
lavagna d’oro, come te, come me…

Anna, Alice e Iago leggono
El papagayo / il pappagallo

Il pappagallo verde e giallo,
il pappagallo verde e zafferano,
mi ha detto «brutta» con la sua voce rotta
e col suo becco che è quello del demonio.

Ma brutta non sono, perché se sono brutta,
brutta è mia madre che somiglia al sole,
brutta la luce dove posa lo sguardo
e brutto il vento dove pone il suo canto,
e brutta l’acqua che bagna il suo corpo
e brutto il mondo e Chi lo ha creato…

Il pappagallo verde e giallo,
il pappagallo verde e arcobaleno,
mi ha detto «brutta» perché non ha
mangiato e il pane e il vino glieli porto io,
che già mi stanco di guardarlo tanto
sempre lì appeso e sempre arcobaleno…