di Maria Pia Nervegna
Cile, anni settanta. M, sette anni, inizia un po’ per gioco, un po’ per noia, a marinare la scuola per accompagnare il padre nel suo lavoro di commesso viaggiatore nei territori della provincia rurale cilena, polverosa e assolata, attraversata da venditori ambulanti, fotografi e fantasmi della Storia. Mentre la madre a casa è misteriosamente afflitta, silenziosa e per questo poco presente, davanti agli occhi della ragazzina si aprono inaspettatamente un mondo completamente sconosciuto e una comunità, quella dei rappresentanti di commercio, membri bislacchi di una specie di famiglia galleggiante.
Con le scarpe ben lustre e il completo giusto, tutto è possibile: ogni viaggiatore possiede degli dei veri e propri simboli identitari, una valigia e una storia da raccontare, una Renoleta da fracassare in un incidente, storie da imbastire, gag da ripetere ai colleghi nel bar, luogo identificativo che li rende ben riconoscibili agli altri, amici o nemici che siano.
Il padre, nominato, come gli altri personaggi, con la sola lettera D, rappresenta il catalogo di articoli per ferramenta Kramp: chiodi, seghetti, martelli, chiavistelli, spioncini per porte. Abbastanza pieni di iniziative e belle speranze nello sciorinare un’inventiva bizzarra e clownesca, ma anche laconici, immaginosi, riflessivi e talvolta ingenui, ironicamente sottili, visitano i piccoli negozi di periferia cercando di piazzare quanta più merce possibile. Talvolta scorretti, più spesso ostinati, dimenticano presto le sconfitte e si rimettono in piedi, attraversando in maniera commovente, talvolta esilarante, ma sempre solidale, il gran mare degli articoli da ferramenta prima di naufragare nella sconfitta seguente.
L’uomo elabora una personale filosofia di vita, disincantata e malinconica, agganciata alle immagini del viaggio, della navigazione e dello spazio –ogni vita ha un suo allunaggio-, e in nome di una sua fantasiosa epistemologia individuale cerca di classificare gli avvenimenti della vita umana in due categorie, quelli probabili e quelli improbabili.
La bambina possiede una particolare ostinazione, una capacità di insistere fuori dal comune e una capacità precoce quanto stravagante di catalogazione delle cose che la porta a prendere in considerazione gli oggetti del catalogo Kramp come ipotetiche unità di misura dei suoi rapporti pratici col mondo e con gli uomini che lo abitano:
Già in quei primi viaggi mi accorsi che gli oggetti, creati ai fini più diversi, stringevano nei negozi di paese una specie di fratellanza. Risale ad allora l’abitudine di cercare nelle vetrine oggetti senza un’apparente relazione e pensare che, se la trovo, mi aspetta una giornata fortunata (una matita di legno era collegata a una maniglia di metallo, perché la maniglia, un giorno, sarebbe stata messa su una porta. Una porta di legno. Matita-legno, legno-porta. Fortuna).
Con una cadenza dello sguardo capace di allargare improvvisamente il campo ad una visione ora panoramica ora minuziosa, ora completamente surreal-patafisica, M cerca progressivamente di spiegarsi il meccanismo delle cose con ciò che ha sottomano:
A furia di sentir parlare dei prodotti Kramp, cominciai a usarli per capire come funzionava il mondo, e così, mentre i miei compagni dedicavano poesie agli alberi e al sole dell’estate, io rendevo omaggio a spioncini, pinze e seghetti.
Inventavo anche congegni come “La Macchina per Sommare”, composta da un rettangolo di truciolato, chiodi e dadi (era un banalissimo abaco, ma io lo chiamavo così: “La Macchina per Sommare”).
Mi ricordo che durante un campeggio uscimmo a guardare le stelle e, usando la Croce del Sud come punto di riferimento, spiegai ai miei compagni che quelle che scintillavano in lontananza non erano stelle, ma bullette da mezzo pollice con cui il Grande Falegname aveva appeso tutto in cielo. Noi inclusi.
Il catalogo Kramp nomina e descrive oggetti anonimi e fatti in serie che magicamente si fanno promotori di metafore, si aprono arditamente a una “rete di analogie”; man mano che il tempo passa suggeriscono correlazioni, indicazioni e rinvii a problemi di conoscenza addirittura metafisica: essi esercitano una fascinazione talmente forte da ospitare tutta la forza di volontà conoscitiva della piccola protagonista.
Gli oggetti Kramp, non-pezzi-unici, completamente asettici e insignificanti per gli adulti come oggetti reali, diventano talmente produttivi come oggetti mentali da garantire da un lato la sicurezza della monotonia del prevedibile, dall’altro la fuga nel desiderio e nel sogno. L’angoscia si annulla attraverso il rifugio nel mito cosmogonico, in un gioco di ruolo nel quale identificarsi stabilmente per difendersi dall’orrore della Storia che pure si svolge sullo sfondo e compie continue incursioni nella vita quotidiana (come afferma Bolaño: i fantasmi, che sono gli unici ad avere tempo perché sono fuori dal tempo).
Le “cose” di marca Kramp sono leali, sincere, salde e attendibili; sono gli adulti a generare fluidità e indeterminatezza con il loro modo erroneo di ordinare e rappresentare il mondo, con la loro idea grossolana e superficiale di giustizia che amplifica -invece di neutralizzare- il male circostante. Spetta dunque a M tentare una mediazione spontanea che garantisca una trasparenza stabile e verosimile tra l’uomo e le cose.
Da intellettuale in miniatura, e venditrice incredibilmente valida (tanto da essere ceduta temporaneamente ad altri in funzione persuasiva, ad misericordiam) procede, come per ogni attività intellettuale umana, per paradigmi episodici ma ordinati, per insiemi distinti.
Curiosità infinita e dubbio metodico stabiliscono relazioni precise tra oggetti, metodi di classificazione e livelli del loro collocamento:
Ogni costruzione è una somma di più parti, parti unite da connettori.
D me l’aveva spiegato in questo modo: qualsiasi edificio, perfino il più grande del mondo, è tenuto in piedi da una struttura unita da viti. Il che equivale a dire che:
- Le cose grandi e piccole si completano.
- Una sola vite può causare la fine del mondo, se viene messa male. Quell’edificio, che ora crolla rovinosamente, ne abbatterà un altro, e quest’ultimo, per un terribile effetto domino, abbatterà l’edificio accanto. E via così fino a radere al suolo la città, le nazioni e la civiltà.
In fondo, è il ruolo dell’intellettuale quello di individuare, da una posizione defilata, quasi invisibile, delle geografie teoriche ed etiche in grado di comprendere la realtà nel suo disordine o rifondare i comportamenti umani:
Il funzionamento degli ecosistemi, la legge di causa-effetto, la relatività, “tutto si può capire guardando nei cassetti di un ferramenta,” aveva detto D. “Idem per le seghe e i martelli appesi alla parete,” aveva aggiunto.
A bordo della R4, padre e figlia, sempre più complici, esplorano i diversi campi di conoscenza: la vendita è un espediente per mettere a punto un metodo per dare senso all’esistere. In una sorta di coazione a ripetere, si accumulano variazioni su un unico tema: l’ansia di possedere la realtà fenomenica e non solo:
Alla relazione tra spazio e tempo si aggiunsero la teoria dell’evoluzione delle specie, l’espansione dell’universo e persino alcune nozioni di base di fisica e teologia.
Se quest’ansia è sistematicamente frustrata, e la risposta ai quesiti è in sostanza sempre negativa, la ricerca non si interrompe se non di fronte all’inevitabile sconvolgimento dell’ordine.
Ogni oggetto, si sa, è dentro un tempo, un’economia, un ambiente, e designa il contesto sociale che lo ha prodotto, denuncia la fretta dei cambiamenti, l’ambiguità e fluidità delle condizioni e dei rapporti di classe.
Come nel film di Kubrick “2001: Odissea nello spazio” citato nel racconto, per un effetto di allontanamento, tutto è destinato a scomparire, come il Cile delle piccole e medie imprese commerciali, completamente fagocitate dalla grande distribuzione partorita da uno sconosciuto, minaccioso capitalismo, come i fantasmi sospesi nel tempo che vagano in un paese dilaniato dalla memoria perversa degli anni della dittatura. Il tempo passa, la bambina diventa adolescente; le cose, la vita, le metafore, l’arte stessa, lasciate organizzate per come sono, sfuggono: non appena si è costretti a fare qualcosa di necessario, qualcosa per salvarsi, si divincolano dalla morsa organizzatrice e costringono a guardare la realtà più direttamente, senza più modelli o diaframmi, per arrivare alla conoscenza di se stessi e del proprio passato, a coglierne i vuoti, gli strappi e le assenze in nome di una superiore, disincantata accettazione.