Una nuova cronaca della scrittrice cilena Nona Fernández, pubblicata il 31 ottobre su El periodista, sulla situazione in Cile, dove le proteste iniziate il 18 ottobre non si fermano. Quello che più spaventa il popolo cileno è proprio il ritorno all’antica normalità, una normalità che è “parte di un passato da incubo”. E anche se la stanchezza, fisica e mentale, inizia a farsi sentire, le persone continuano a organizzare marce e assemblee per chiedere dignità e diritti. Fino a quando varrà la pena vivere. La traduzione è di Alice Rifelli e Marta Rota Núñez.

 

Il tempo si è fermato. Da più di una settimana abitiamo una parentesi da quella vita che abbiamo avuto e a cui non vogliamo più tornare. In quella vita ci alzavamo molto presto per portare i nostri corpi stanchi a lavorare e a pagare. Depressi, ci addormentavamo grazie a una pastiglia, per poi svegliarci – depressi – grazie a un’altra pastiglia, e così – depressi e grigi – continuavamo a funzionare solo con l’ennesima pastiglia. Perché non siamo esplosi prima? Non lo sappiamo. Però adesso siamo qui, lontani da quella vita, mentre ne cerchiamo una migliore. Con l’incertezza di non sapere come calcolare il futuro, ma con la sicurezza di esserci svegliati da un brutto sogno al quale non vogliamo più tornare. L’antica normalità non esiste più ed è parte di un passato da incubo. Ingurgitare un’altra pastiglia sarebbe il fallimento più assoluto.

            Solo nella capitale eravamo un milione e mezzo di persone a gridare la nostra protesta. Il grido si è unito a quello delle regioni e, tra pentole e applausi, all’improvviso abbiamo capito che non eravamo soli. Con un’allegria che avevamo dimenticato, abbiamo decretato un lungo e sfacciato festeggiamento. I cartelloni hanno preso il posto delle bandiere. Ognuno e ognuna di noi ne ha alzato uno con il proprio slogan. Sono tanti, come tanti siamo noi. Tanti come le tante recriminazioni che abbiamo. Tanti come la tanta creatività che tenevamo nascosta.

            Ci salveremo uniti o affonderemo soli / Basta ingiustizie / Figli, avete il permesso di non arrendervi / Basta ingiustizie / Ho più fiducia nel mio spacciatore che nel governo / Basta ingiustizie / Mi avete così tanto indebitato che non vi conviene uccidermi / Basta ingiustizie / Finché la dignità non diventerà abitudine / Basta ingiustizie / Fine alla dittatura del capitale / Siamo venuti a prenderci i tuoi privilegi / Basta ingiustizie / Basta allo stato di emergenza / Basta AFP / Basta TAG / Basta ISAPRES / Ci sarebbero così tante cose da dire che non so quali scrivere / Democrazia, tu mi piaci, ma mi sembri un po’ assente / Finché la dignità non diventerà abitudine / Basta ingiustizie / Il governo è più falso di me quando dico che sono a dieta / Basta ingiustizie / Ancora due manifestazioni e perdo cinque chili / Basta ingiustizie / Mia mamma è l’unica che mi fa rientrare alle otto, fottuti militari / Basta ingiustizie / Fine del coprifuoco / Basta ingiustizie / Ora o mai più / Nuova costituzione / Nuova costituzione / Nuova costituzione / Basta ingiustizie / Assemblea Costituente / Basta ingiustizie / Insieme è più facile / Basta ingiustizie / Ci salveremo uniti o affonderemo soli / Basta ingiustizie / Fino a quando varrà la pena vivere / Non era depressione, era capitalismo.

            Dieci giorni di proteste e il corpo lo sente. Ore e ore di marce, di adrenalina al massimo, di nervosismo. Ma nonostante tutto, ogni piazza ha la sua riunione. Ogni collettivo, la sua assemblea. Tutte e tutti parlano, dopo tanto tempo in silenzio. I cellulari si riempiono di informazioni, il tracciato delle reti si amplia. E sono così tante le notizie, così tanti gli stimoli che sembra che in questa parentesi tutto succeda più velocemente di quello che il cervello può processare. Però resistiamo con lucidità e coraggio. Non possiamo venir meno. Abbiamo la possibilità di far sì che tutto questo diventi più di una parentesi. Porre fine una volta per tutte al grande esperimento che è stato installato qui molto tempo fa e aprire finalmente la gabbia del laboratorio per venirne fuori, tutti i topi insieme. E anche se durante la notte facciamo suonare le pentole per difenderci da questa guerra che ci hanno dichiarato, anche se lucidiamo cucchiai di legno e casseruole d’alluminio per continuare lo scontro che hanno inventato e a cui non abbiamo mezzi per rispondere, continuiamo a difendere la nostra fuga dalla gabbia. Fuori sentiamo gli elicotteri e gli spari. C’è qualcosa di già visto in tutto questo. L’odore di lacrimogeno e fumo di quell’altra vita dalla quale siamo scappati. E per ogni pallottola che ci hanno sparato, per ognuno di noi che è caduto ferito o morto, ancora più forte batteremo i cucchiai sulle pentole. Più cartelli alzeremo. Più grida leveremo. Più creatività tireremo fuori. E non ci sarà melodia né pifferaio in grado di riportarci indietro, al brutto sogno di quella gabbia. Non prenderemo più nessuna pastiglia, perché adesso lo sappiamo: non era depressione, era capitalismo.

 

Nona Fernández Silanes
Santiago de Chile, 27 Ottobre 2019