Quando ho scritto Paradiso Italia, documentando la vita di alcuni migranti in questo paese, ero consapevole del fatto che i temi trattati non riguardavano soltanto l’attualità ma qualcosa di più ampio e profondo, che in parte riguarda il nostro modo di vivere il presente. Certo è un reportage a fumetti che narra fatti di cronaca, ma la cronaca di quei fatti narra anche qualcos’altro, perché in qualche modo fa luce sull’approccio che continuiamo ad adottare in situazioni d’emergenza. Forse adesso, che un decreto del presidente del consiglio ci tiene tutti nelle nostre case, abbiamo l’occasione di comprendere con maggior empatia cosa significhi vivere la distanza. Quest’immagine, contenuta nel mio reportage, ci parla con una lingua che forse prima non riuscivamo a comprendere ma che adesso palesa i sui lemmi. Una baracca fatiscente è testimone di un’indigenza che sembra cortocircuitare con la presenza di un cellulare. Mi tornano in mente le parole di M. Salvini quando via twitter parlava di “africani a torso nudo con cuffie e telefonini”, come a dire che tutto sommato non se la passavano poi così male. Beh, oggi sappiamo quanto possa essere importante un così stupido aggeggio quando ci si trova lontani dai propri affetti. In tempo di crisi le carte si rimescolano… le priorità cambiano.

La ministra delle politiche agricole alimentari e forestali T. Bellanova ci ha appena ricordato che “la nostra agricoltura ha bisogno della manodopera fornitaci dai migranti” (soltanto gli stranieri regolarmente registrati nel settore agricolo svolgono il 26,2% del totale del lavoro necessario nelle nostre campagne) e benché molti di noi lo sapevano (e lo dicevano) già da tempo, forse ieri non tutti erano in grado di capirlo… oggi magari sì. “Tornatevene a casa vostra” abbiamo detto ai migranti… e ora che ce lo ha detto a noi il nostro presidente del consiglio stiamo capendo quanto possa essere fastidioso. Contemporaneamente, il presidente della regione Lombardia A. Fontana, esponente della Lega, chiama a raccolta il personale di Emergency per insegnare ai medici le tecniche di contenimento del contagio in situazioni critiche. La ONG di G. Strada, soltanto ieri definita dalla Lega “un’associazione a delinquere che traffica migranti”, è or ora diventata una preziosa risorsa. In tempo di crisi le carte si rimescolano… le priorità cambiano. Intanto si discute di regolarizzare (momentaneamente) tutti i migranti per garantir loro protezione e assistenza sanitaria, come ha fatto il Portogallo, ma c’è sempre il Trump di turno che li respinge tutti al confine con il Messico.  In tempo di crisi le carte si rimescolano… le priorità cambiano. Certe persone no. Tuttavia essersi trovati a condividere alcuni (e soltanto alcuni) dei problemi che da tempo affrontano i migranti non ci aiuterà ad essere più empatici con loro, perché la sofferenza non rende migliori. La sofferenza ci riporta alla nostra vulnerabilità e un animale vulnerabile morde, per cui torneremo a mordere anche noi, e forse più ferocemente di prima.

Ma poi perché parlare di migranti in un momento in cui il Covid-19 continua a mietere vittime?
Siamo proprio sicuri che la regolarizzazione dei migranti irregolari sia una “nostra” priorità?

Fermo restando che dal coronavirus sia auspicabile difendere tutti, anche i migranti, è necessario considerare che coloro i quali sono privi del permesso di soggiorno non hanno accesso alla sanità pubblica. Non essendo iscritti al Sistema Sanitario Nazionale, questi hanno diritto soltanto alle prestazioni sanitarie urgenti, quelle per le quali ci si reca, tanto per capirsi, al pronto soccorso… che è chiaramente consigliabile evitare in un momento come questo. Chi monitora i migranti per tutelare la loro e la nostra salute? Non è forse nel nostro interesse disporre di un quadro generale riguardo i possibili contagiati, siano essi migranti oppure no? È ovviamente prioritario che il Governo intervenga, benché qualcuno ne profitterà per sollevare le solite polemiche sull’invasione, gli untori, e quant’altro.

Le crisi, per definizione, sono sempre crisi generali (una crisi economica comporta quella sociale, sanitaria, culturale, etc.) per cui il l’emergenza “coronavirus” non può essere, e di fatto non è, un’emergenza soltanto sanitaria. È una crisi economica, una crisi sanitaria, una crisi psicologica, una crisi migratoria ed è anche una crisi culturale. Se ha senso parlare di migranti, anche e soprattutto in questo momento, è proprio perché è sempre più necessario capire che non esiste alcun interesse personale che possa imporsi al di sopra dell’interesse comune, perché non siamo, come si suole dire, un’isola, e perché non può esserci alcuna felicità individuale se tutti intorno soffrono. Il malessere, proprio come il virus, è contagioso. Questa pandemia ci ha perciò insegnato che i problemi della Cina sono anche i nostri problemi, e così quelli degli altri paesi europei o dell’Africa. La globalizzazione dell’economia comporta la globalizzazione di tutto il resto, e problemi globali richiedono soluzioni globali. Finora abbia preferito non unirci per vigilare ognuno sul proprio orticello, e il risultato è che ci siamo isolati tutti. Al momento non possiamo neppure uscire di casa, ma è questo l’ovvio risultato di una cultura che non ha mai voluto farlo. Il punto è che siamo alle solite perché al di là del virus, della crisi e dell’emergenza, è il nostro modo di vivere il presente che va rimesso in discussione. Ieri parlavamo di aprire o chiudere i porti. Oggi parliamo di aprire o chiudere le attività, le scuole, le fabbriche. Crediamo che tutto si risolva nell’aprire o chiudere qualcosa, come se l’esistenza seguisse la logica binaria del sì e del no. Invece non dobbiamo aprire ma aprirci, cioè renderci disponibili all’alterità e persino all’ignoto, perché quando credi che tutto sia controllabile e addirittura pretendi di farlo, sei già a un passo dalla fine della democrazia. La sfida che ci troviamo davanti ci obbliga a tutta la nostra intelligenza e a tutta la nostra umanità.

Ho chiesto a me stesso un po’ di ottimismo: la storia ci ricorda che abbiamo superato molti ostacoli, per cui ce la possiamo fare. Ma quando torneremo alla normalità, se non cambierà nulla, vorrà dire che siamo cambiati tutti… tutti quanti noi.

 

Mirko Orlando,
fotografo e  illustratore, autore del reportage 
Paradiso Italia