Cosa ci fa pensare di restare la stessa persona mentre passiamo da un’età all’altra? Quando attraversiamo luoghi ed esperienze che ci segnano, cosa garantisce la continuità – l’identità – tra il prima e il dopo? E cosa ha da dire la letteratura su tutto questo? Con Autostop per la rivoluzione la scrittrice Cynthia Rimsky prosegue la riflessione del romanzo precedente (Il futuro è un posto strano, entrambi tradotti da Silvia Falorni) sull’instabile allineamento tra memoria, testimonianza e identità, sulla disillusione, sul cambiamento e sul passare del tempo, non solo su un piano personale, ma anche dal punto di vista, abbagliante come i pezzi di uno specchio in frantumi, della storia collettiva.

Come collocheresti Autostop per la rivoluzione nel complesso della tua opera?
 Fa parte di una trilogia (Il futuro è un posto stranoAutostop per la rivoluzione e, a settembre in Cile, Yomurí). In questi libri ho sperimentato modi di narrare storie – avvenute nel passato o ispirate al presente – al di fuori del realismo, storie che restassero sempre in una dimensione letteraria. Documenti, conversazioni, appunti, esperienze reali, sono stati elaborati, sfumati, distorti, frammentati, per sollevare più dubbi che certezze, con narratori e personaggi che non capiscono il presente in cui vivono, che non comprendono il passato che prima sembrava loro così chiaro. Questo non impedisce loro di agire, di lanciarsi nella finzione, quel nuovo spazio che emerge quando si osa fare un passo senza avere la certezza di dove si sta andando. Mi viene in mente il bellissimo romanzo di Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, e come lì il viaggio nella sua città natale diventi più straniante man mano che passa dalla certezza della memoria all’incertezza della finzione, soprattutto nel cimitero, dove il reale muore.  
 
Racconti tre diverse fasi della vita del protagonista, a 22, 45 e 57 anni. Queste età, questi momenti, hanno un significato particolare per te?

 La protagonista di Autostop per la rivoluzione è allo stesso tempo una e tre donne diverse. Non siamo gli stessi a 22, 45 e 57 anni. Anche se la carta d’identità dice che lo siamo. La giovane donna di 22 anni vuole sapere cos’è una rivoluzione e per lei è naturale lanciarsi e andare a scoprirla nella realtà. La donna di 45 anni sopravvive come può in un mondo molto diverso da quello che sognava a 22. In un momento di crisi torna in Nicaragua – la rivoluzione non esiste più – e l’idealismo dei 22 le si rivela comico, assurdo, in questo paradiso tropicale per turisti. La donna di 57 anni scopre i diari di viaggio, le lettere, le mappe di entrambi i viaggi e si chiede perché non sia mai riuscita a scriverne: come scrivere di una rivoluzione che è esistita e non esiste più, come scrivere di un Ideale che diventa comico? Questa è la sua avventura, quella letteraria. Un altro modo di viaggiare e di buttarsi.
 
Trasformazione, cambiamento e identità sono idee centrali nel tuo lavoro: come possiamo riconoscerci attraverso le mutazioni, gli spazi e i tempi che attraversiamo, ed è davvero così importante raggiungere questo obiettivo?

 In questo libro emerge già il conflitto che ho poi sviluppato in Yomurí. Non c’è modo di conoscere la nostra “identità”. Siamo Uno solo in apparenza. La nostra vita è fatta di tante esperienze, letture, pensieri, tutti dissimili, frammentari, contraddittori. La maggior parte della letteratura tradizionale crea l’illusione della struttura.  Preferisco la contraddizione, il dubbio, la tensione, il multiplo, piuttosto che l’unità. In quel caos ci riconosciamo e ci perdiamo.
 
I tuoi personaggi si perdono, si cercano e, nella ricerca, si perdono di nuovo. Hai seguito qualche pista letteraria? Ci sono autori che ti hanno accompagnata nella ricerca delle storie che racconti?
 Gli scrittori e le scrittrici mi accompagnano sempre in ogni progetto che intraprendo, mi vedono in difficoltà e mi aprono strade con i loro libri. Scrivere è anche andare a cercare o ricevere per caso ciò che altri si sono chiesti prima di te o nello stesso momento. Con Poste restante, il mio primo libro, ero molto interessata alla costruzione dello sguardo, poi sono passata a concentrarmi sui processi e le forme del narrare. Ora mi lascio andare senza un piano, scrivo senza sapere, a partire dal vuoto, dall’intuizione, dal desiderio. Anche in questo viaggio ho delle guide, anche se più caotiche, disordinate.
 
Partendo dalla tua riflessione sulla storia del Cile, come vedi il Cile contemporaneo?
Non posso pensare al Cile senza pensare a ciò che sta accadendo nel mondo. Penso che sia un momento estremamente complesso in cui molte cose stanno scoppiando, con esplosioni che disfano e mandano in pezzi tutto ciò che finora era tenuto insieme dall’artificio o dall’autorità. Non credo che sarà facile o veloce creare nuovi modi, più amorevoli, giusti, diversi e rispettosi, per costruire una convivenza il cui centro non sia occupato dal capitale, in cui non ci sia proprio un centro o in cui questo sia vuoto.