Nel nostro nido d’amore

c’è posto

per un uccello

solo.

Tutti pensano di poter fare poesia. Lo pensa la poesia stessa. Che quindi è diventata caricatura di sé medesima, a livelli imbarazzanti, e non solo per colpa di certi cioccolatini inventati da Luisa Spagnoli o di taluni social su cui più che altro si seguono splendide fanciulle e/o, a seconda dei gusti, nerboruti giovanotti dalle significative aderenze e vestiti per lo più solo di epidermide, tra paesaggi d’incanto e teneri gattini sempre pronti a comparire dinnanzi all’obiettivo. È perché tutto, ormai, è reificato. Ma la china si può invertire. In primo luogo stigmatizzando, con genio e ironia, la bruttezza. Che è comunque una categoria estetica. Paolo Agrati dà alle stampe una raccolta paradossale e magnifica, Poesie brutte, per Edicola, con la prefazione di Roberto Mercadini e le illustrazioni di Alessandro Bonaccorsi, ideatore del Corso di Disegno Brutto. Da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

 

Pubblicato su Convenzionali.