L’11 marzo è iniziato il mandato di Gabriel Boric, il nuovo presidente ecologista e femminista del Cile, a 36 anni il più giovane che il paese abbia mai visto. Il suo governo, tra l’altro composto in maggioranza da donne, inizia a lavorare a brevissima distanza dall’8 marzo.
La Giornata internazionale della donna, che in Italia è da molti confusa con una celebrazione della femminilità, è in effetti una giornata di lotta, in cui la dissidenza di genere si prende le strade e le piazze per opporsi alle disuguaglianze e alla violenza. Questo accade anche in Cile, dove le proteste delle donne e degli studenti hanno aperto la strada per il cambiamento in corso oggi attraverso l’Assemblea Costituente e il nuovo governo, nel frattempo diventando un punto di riferimento internazionale. Basti pensare a come nel 2019 il Collettivo Las Tesis abbia visto il canto da loro proposto nel corso delle manifestazioni, Un violador en tu camino, ripreso dalle marce di tutto il mondo. Da riferimento dell’immaginario a riferimento politico il passo è stato breve ma denso e ora, mentre il mondo sta a guardare, il governo di Boric si sta facendo carico di questa fiducia e di questa proposta perché vadano a formare una società più equa. Abbiamo parlato di tutto questo con la scrittrice cilena Lola Larra, già autrice di A sud dell’Alameda. Diario di un’occupazione e di Sprinters.

Nella tua scrittura lavori molto con la memoria collettiva. Vorrei portare qui la tua riflessione su un piano più personale. Cosa significa per te essere cresciuta come donna nel tuo contesto? Come ti sembra che siano cambiate le cose intorno a te e come credi di essere cambiata tu in questo senso?
Sono cresciuta in Venezuela, non in Cile. I miei genitori si esiliarono dopo il golpe e finimmo in questo paese caraibico, che ci accolse, insieme a tanti altri esiliati cileni, con le braccia aperte, molto caldamente. Quella venezuelana è sempre stata una società molto matriarcale, le donne si integrarono presto nel mercato del lavoro, a differenza di quanto è accaduto in Spagna (dove ho vissuto per molti anni) o in Cile, per esempio. Sono cresciuta circondata da donne che lavoravano, professioniste, indipendenti. Mia madre ha sempre lavorato. Le mie zie lavoravano. Ho sempre avuto insegnanti e capi donne in Venezuela. E non ho mai sentito che a causa del mio essere donna mi sarebbe stato precluso qualcosa che mi fossi riproposta di fare. Questa percezione è cambiata un po’ quando sono arrivata in Spagna, in un mondo lavorativo dominato dagli uomini e in una società che ancora manteneva molte cattive abitudini della dittatura franchista. Lo stesso mi successe quando mi trasferii in Cile, in una società che fino a poco tempo fa ha continuato a trascinarsi dietro atteggiamenti e abitudini della dittatura. Non voglio dire che in Venezuela non ci sia machismo, perché c’è, ma che mi sembrava che in Cile e in Spagna ci fosse molto più lavoro da fare in quanto a femminismo. Per me ha significato una presa di coscienza. Prima non ci pensavo molto. Come molte donne della mia generazione, ho imparato quanto cammino ci resta da fare ascoltando le più giovani.
 
Cosa pensi del movimento femminista cileno? In che modo credi possa avere un impatto sulle politiche? E se non lo credi, c’è un motivo in particolare per cui pensi che sia inefficace?
Credo che il movimento abbia avuto un impatto sulla politica cilena. Le mobilitazioni del 2018 hanno messo in evidenza qualcosa che già si stava covando da molto tempo: eravamo stufi e stanchi e questo sentimento scoppiato nel Mayo feminista nelle Università è stato raccolto dai movimenti sociali della fine del 2019. Però il movimento femminista cileno precede tutto questo, non dobbiamo dimenticare chi è venuta prima di noi, le prime suffragette o i movimenti femministi che fronteggiarono la dittatura negli anni Ottanta. Non bisogna nemmeno smettere di riconoscere e di rallegrarsi per quanto sono cambiate le cose negli ultimi quindici anni. Non solo per aver avuto una presidente donna [Michelle Bachelet è stata eletta per due mandati non consecutivi, 2006-2010 e 2014-2018], ma anche per i piccoli e grandi progressi femministi e delle dissidenze sessuali in molte questioni. Il matrimonio egualitario è uno di questi. La possibilità che nella Costituzione venga consacrato il diritto a decidere sul proprio corpo è un altro. Sono cose che fino a pochissimo tempo fa erano impensabili in Cile. E anche la percezione, spero maggioritaria, del fatto che come società dobbiamo abbracciare valori irrinunciabili come l’uguaglianza tra uomini e donne o la ricerca di un bene comune. È insostenibile pensare che possiamo salvarci da soli. Siamo connessi, dipendiamo gli uni dagli altri.

In molti paesi del mondo si intravede uno scollamento fra l’attivismo queer e parte – e sottolineo parte – del mondo femminista. Ritrovi questa tendenza anche nel tuo ambiente?
Non l’ho notato molto qui in Cile. Lo scorso 8 marzo abbiamo marciato tutte insieme. Non come in Spagna, dove ci sono state due manifestazioni distinte in base alla corrente femminista, cosa che mi è sembrata piuttosto triste. Dividerci invece di mettere insieme le forze non aiuta nessuno.

Che valore ha oggi una giornata come quella dell’8 marzo in Cile? Soprattutto al di fuori dei movimenti, a livello di coscienza e opinione pubblica.
Osservo le marce dell’8 marzo da molto tempo, ma credo che l’Históricas del 2020, con quella scritta sulla pavimentazione di Plaza Dignidad, abbia rappresentato un momento di passaggio delle manifestazioni. Credo che a partire da lì il movimento abbia avuto molta più visibilità.

Come credi che l’elezione di Boric possa influire sulle condizioni di vita delle donne, delle minoranze sessuali e dei gruppi subalterni tutti?
Fortunatamente abbiamo un governo recentemente inaugurato che, lo hanno detto a gran voce e chiaramente, vuole essere un governo femminista. E mi sento molto speranzosa e orgogliosa di questo. È un sollievo avere un presidente come Boric e un governo come quello che ha formato. È un piacere ascoltarlo parlare. Soprattutto credo che sia un lusso avere un presidente che è anche un buon lettore. Può sembrare un dettaglio insignificante, ma credo che sia essenziale che coloro che ci governano si nutrano di lettura, di finzioni. Questo per me cambia tutto. Essere un buon lettore comporta, quasi sempre, la capacità di mettersi al posto degli altri e di capirli, l’essere più tolleranti, più intelligenti, e anche l’abbracciare la fragilità e la vulnerabilità. Credo che Boric abbia tutte queste qualità dei buoni lettori. 
Spero che sia un governo che cambi, per il meglio, le ingiustizie sistemiche che ancora permangono nella società cilena, non solo le ingiustizie contro le donne o le dissidenze sessuali, ma anche che si allievino la disuguaglianza oscena e il classismo di questo paese. Il grande scoglio per l’uguaglianza tra donne e uomini è che il lavoro di cura è per la maggior parte del tempo a nostro carico. Finché non saranno presenti in ogni posto di lavoro nidi e spazi per l’allattamento, finché i lavori domestici e di cura dei malati e della terza età non verranno riconosciuti e remunerati, finché la crescita dei figli non sarà davvero condivisa tra entrambi i genitori, sarà impossibile che ci sia uguaglianza. Gabriel Boric ha parlato molto di questo nella sua campagna, dell’importanza di riconoscere il lavoro di cura. Prendersi cura dell’altro (un figlio, una persona anziana, un malato), organizzare la cura dell’altro, preoccuparsi per la cura dell’altro, non solo richiede tempo e sforzo fisico, ma anche una quantità spossante di tempo e concentrazione mentale. E questo viene messo in rilievo molto di rado.

Hai già avuto modo di raccontare i movimenti giovanili con A sud dell’Alameda. Continuano ad affascinarti?
Continuo a interessarmi molto dei movimenti studenteschi. Ammiro i giovani, ho grande fiducia in loro. Sono loro che cambiano il mondo. Immagino sia inevitabile che continuino ad apparire nei miei libri.