Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2019 sull’edizione digitale di Página 12, quotidiano argentino. È stato scritto da Juan Pablo Sutherland, scrittore, docente e attivista LGTB cileno. È stato tradotto per noi da Francesco Esposito.

Cosa succede in Cile? Chi mente, chi parla e che cosa dicono

Lo scrittore e docente cileno Juan Pablo Sutherland racconta e analizza dalle strade di Santiago le ragioni e l’impatto della rivolta popolare. I subalterni parlano mentre il governo insensibile sperimenta formule repressive e la maggior parte dei mezzi di comunicazione bolla la protesta sociale come violenta e vandalica. Ecco alcune istantanee di realtà e una speranza ignota che si percepisce nell’aria.

Di Juan Pablo Sutherland

Chile es la copia feliz del edén” dice l’inno nazionale che cantiamo tutti noi cileni, basato su quella pedagogia scolastica nazionalista che ci viene imposta come un’araldica della nazione, approfondita durante la dittatura di Pinochet, una specie di mantra che ci avvicina a un paradiso che non vediamo da diversi decenni. Il famoso regista cileno Raúl Ruiz dichiarò una volta che l’immagine del Cile sarebbe da collocare piuttosto tra i cerchi dell’inferno, essendo questo paese una rappresentazione diretta dell’inferno dantesco. Tra questi due luoghi metaforici, il paradiso e l’inferno, il Cile continua a vivere in mezzo a una perturbazione permanente e irrisolta sin dai tempi della timorata democrazia concordata che non riuscì a sradicare il malessere sociale vissuto per lunghi anni.

Chi sono gli studenti che si sono ribellati?

La mattina di giovedì 17 ottobre, a sorpresa, gli studenti delle superiori hanno dato vita a uno sciopero di massa nella metropolitana di Santiago in seguito all’aumento di 30 pesos recentemente annunciato dalle autorità. Quegli studenti sono i figli della maggioranza della popolazione, giovani iscritti in scuole pubbliche abbandonati dal sistema educativo cileno affinché diventino parte del meccanismo della povertà del sistema neo-liberale messo in pratica dalla classe politica già 30 anni fa e sviluppato, riforma più, riforma meno, come modello vincente e distinto nella regione.

Il Presidente cileno Sebastián Piñera, un imprenditore di destra al suo secondo mandato, ha dichiarato un paio di settimane fa in un forum internazionale che il Cile è un’isola felice e priva dei conflitti sociali vissuti nel resto della regione. Tale dichiarazione gli si è fatalmente e inevitabilmente ritorta contro in questi giorni: il Cile, l’isola pubblicizzata da Piñera come se si trattasse di una delle sue aziende di successo, cominciava a inabissarsi senza che nessun attore della classe politica cilena riuscisse a contenere o a spiegare la rivolta sociale in corso.

Da quel giovedì, lo scenario pubblico e sociale legato a una richiesta specifica acquisiva sempre più un carattere nazionale e di massa, costituendosi come catalizzatore inorganico delle diseguaglianze di tutto il paese espresse in vari temi irrisolti: salute, stipendi, educazione, trasporti pubblici, previdenza sociale. Tutte queste (e molte altre) sfere della vita quotidiana dei cileni che non coincidono con la narrazione del progresso e del benessere di cui il modello neo-liberale si vanta con tanto successo dentro e fuori dal Cile.

Cosa ha scatenato la protesta?

L’inettitudine, l’indifferenza e la prepotenza delle autorità si erano già palesate con una narrazione irritante e inopportuna lanciata pubblicamente nei confronti degli utenti del sistema di trasporto pubblico di Santiago: Monckeberg, il Ministro del Lavoro del presidente Piñera, aveva singolarmente consigliato ai cittadini di alzarsi prima del solito, ovvero di svegliarsi all’alba per viaggiare in metropolitana, in modo da poter approfittare delle tariffe più economiche in vigore fino alle 7 del mattino.

L’ottusità di tali dichiarazioni rimarrà nella storia come esempio della poca sensibilità nei confronti della popolazione più povera e di massa, utenti principali del sistema di trasporto pubblico insieme alle classi medie impoverite. Una giornata di sciopero del biglietto della metropolitana si era trasformata in una rivolta sociale che nessuno poteva immaginare. Il servizio veniva gradualmente sospeso a causa delle proteste che finalmente acquisivano il carattere di disobbedienza civile, represse in modo violento dalla polizia.

In poche ore gli abitanti di Santiago camminavano senza trasporti pubblici riempiendo La Alameda come se ci dirigessimo tutti a una grande manifestazione o come se si fosse verificato un terremoto. Tuttavia, la calamità non era naturale ma repressiva e si ampliava sempre più con la risposta del governo di venerdì 18 ottobre, in cui annunciava che non avrebbe cambiato una virgola delle misure relative alle nuove tariffe della metropolitana.

Che cosa dicono i mezzi di comunicazione?

La notte di venerdì 18 Santiago bruciava. Stazioni della metro e supermercati cominciarono a illuminare la notte storica della rivolta in vari luoghi della città. Al momento ci sono quindici persone morte, tutti civili.

Alla luce del sole e a viso scoperto la popolazione cominciò a protestare con un massiccio rumore di pentole che invase tutta la Regione Metropolitana del Gran Santiago e, gradualmente, tutto il resto del paese. Per approfondire il conflitto, gran parte dei mezzi di comunicazione e il governo cominciarono a bollare la protesta sociale come violenta e vandalica, criminalizzando la richiesta popolare, definendo i cittadini come delinquenti. I mezzi di informazione alternativi e pochi altri tra quelli riconosciuti si sono smarcati da quella narrativa vuota che vede soltanto la violenza dall’alto dei suoi interessi e tace la più grande di tutte, la violenza del proprio modello.

Giorni in Stato di Emergenza

Oggi, lunedì 21, nel momento in cui scrivo questa cronaca dal Barrio Bellas Artes nel centro di Santiago, c’è una moltitudine di gente che protesta pacificamente, la polizia corre dietro ai manifestanti reprimendoli come se la storia ricominciasse a tornare indietro. I militari sono per strada e gli elicotteri sorvolano la città cercando il nemico interno. Sto scrivendo questa cronaca e piango, mi emoziono e scrivo, la rabbia si coniuga con l’orizzonte utopico per cui abbiamo lottato negli anni ’80.

Sono tre giorni che ci troviamo in uno Stato di Emergenza dichiarato dalle autorità politiche, le garanzie costituzionali sono sospese. Tutto quest’ordinamento repressivo è lo stesso della costituzione del 1980 istituita dalla dittatura di Pinochet e dai suoi civili. Lo stesso settore della società che applica di nuovo gli stessi e unici modi che ha per governare. La democrazia che pensavamo di aver conquistato diluisce le sue garanzie di protezione quando i poveri senza cittadinanza esigono una nuova vita. La democrazia è una narrazione rubata. L’eccezione della violenza oggi applicata alle persone va di pari passo con la vera politica, non c’è mai stata differenza. In realtà, l’eccezione è la regola.

In molte regioni del paese è stato imposto il coprifuoco, un déjà-vu che mai avrei pensato di vivere, ho lottato contro la dittatura negli anni Ottanta e quello che oggi la mia generazione e il paese sta rivivendo è sconvolgente. Tre ore fa c’è stata una manifestazione con grande partecipazione a Plaza Italia nel centro di Santiago, migliaia di persone, giovani, donne, gay, travestiti, lesbiche, studenti, trans, lavoratori, checche, attivisti dissidenti, universitari, professori, artisti, tutte le comunità possibili che impugnando soltanto delle pentole ripetevano un mantra collettivo: “Chile despertó”, il Cile si è svegliato. Non sappiamo cosa succederà nei prossimi giorni. Il governo ha disatteso il mandato di rappresentazione del sentimento del paese.

Il Cile si ribella, il popolo di un tempo che gridava nelle strade è tornato con viso giovane in un nuovo ciclo. La critica del modello è trasversale, priva della retorica precedente. Al contrario, questa massa incontenibile che fa suonare le pentole, invadendo la città, chiede ancora una volta un principio basilare e primordiale abbandonato dalla politica tradizionale in cambio del patto con il potere economico: vogliamo vivere con dignità e non come schiavi.

Il quartiere marica o quartiere gay nel centro di Santiago è stato illuminato come tutto il paese dalle fiamme e dalle barricate in piena rivolta notturna. Una moltitudine con migliaia di occhi e bocche che si muove senza paura sfidando la forza militare e poliziesca. Non ci sono dirigenze, non ci sono leadership, non ci sono rappresentazioni. Non ci sono bandiere di partito, le grida di questa rivolta nascono dalla rabbia e contro l’abuso. La sua forza è così brutale e irrefrenabilmente inorganica che arriverà il momento in cui si troverà una strategia per placare questa furia. Ma oggi non lo sappiamo. Il mio striscione alla manifestazione di questi giorni fa capire lo stato d’animo con cui sono tornato a manifestare dopo 30 anni contro la dittatura: MARICAS CONTRA EL CAPITALISMO.