Ci ritroviamo, in questo settembre, dall’altra parte del referendum, tenutosi domenica scorsa in Cile, sul testo costituzionale che sarebbe andato a sostituire, in caso di esito positivo, la Costituzione introdotta da Pinochet, vicenda che tanto ci ha coinvolto e appassionato. Il tentativo cileno ha incontrato, con il risultato delle urne, un ostacolo importante. Ma, d’altronde, lo scontro fra opinioni e punti di vista diversi rappresenta l’anima della partecipazione politica e non deve spaventare.
Il lavoro editoriale ci ha insegnato che l’accoglimento di punti di vista diversi e il confronto con la voce dell’altro, con i suoi cedimenti e i suoi picchi, i suoi silenzi e le sue esplosioni, si traduce in vita concreta, in relazioni autentiche, in presa in carico e cura. Ci siamo quindi presi un momento di riflessione per capire cosa di questa esperienza ci ha toccato così tanto, anche da questa parte dell’oceano, per ripartire più consapevoli di prima e portare questa coscienza nel nostro lavoro.
Di seguito troverete allora una breve riflessione sul senso dell’esperienza di discussione collettiva che ha portato a questo momento e un intervento dell’editore Paolo Primavera su ciò che avrebbe potuto essere. Buona lettura. 
La foto di copertina è di José Pereira.

Parola chiave: pluralismo

Domenica 4 settembre il Cile si è raccolto intorno alle urne elettorali per votare il testo di quella che avrebbe potuto essere la nuova Costituzione e che, invece, è stata bocciata con oltre il 60% dei voti. La proposta era il frutto dell’Assemblea Costituente eletta in seguito alle proteste cominciate nel 2019 e che ha espresso le urgenze e le istanze della popolazione non soltanto con la sua esistenza, ma anche con la sua forma: abbiamo visto infatti un’Assemblea in cui si riflettevano diversità di genere e di appartenenza sociale come non era mai successo prima. Nonostante questo, il progetto costituente sembra aver imboccato un vicolo cieco – per ora.

Ma qual è il senso di questa esperienza per la popolazione? Cosa significa per una società civile investire in una discussione collettiva a tutti i livelli, trasversale a tutte le soggettività che ne fanno parte?

La nuova Costituzione avrebbe innescato un processo di cambiamento che avrebbe coinvolto anche le strutture dello Stato, per esempio riconoscendo e valorizzando la dimensione locale nei processi decisionali. Inoltre, i diritti dei popoli originari – che da soli contano il 13% della popolazione – avrebbero ottenuto voce e agibilità nella sfera pubblica, e lo stesso sarebbe accaduto con le istanze provenienti dalle donne e dalle minoranze di genere. Non a caso, il testo intendeva dichiarare il Cile uno “stato plurinazionale”, prospettiva in radicale contraddizione con la nozione di Stato moderna ed egemonica a livello globale, che fa coincidere Stato e nazione, con tutte le conseguenti derive nazionalistiche che ancora cerchiamo faticosamente di contenere.

È, questa del referendum, una vicenda che ci ha messo di fronte a un duro colpo, ma che non si esaurisce qui. Le conoscenze, le relazioni e gli strumenti elaborati nel corso di questa esperienza non vanno dispersi: piuttosto, moltiplicarli e proseguire lungo la strada tracciata è una responsabilità di tutti. Ordine e uniformità, normatività ed espulsione della diversità, hanno dimostrato i cileni, non sono la via per l’armonia sociale, la capacità di azione, la coesione e l’organizzazione delle forze sociali; al contrario, riconoscimento del conflitto e investimento nel dibattito, relazioni serene con le alterità e orizzontalità dei rapporti permettono di arrivare a vedere, anche se per ora solo da lontano, luoghi che fino a poco tempo fa credevamo impossibili.

Quella cilena è stata una prova di civiltà politica senza pari nel mondo e, se anche l’esito non corrisponde alle nostre aspettative, in un paese disinvestito dalla politica, rancoroso e spaventato come il nostro, alla vigilia di elezioni che per molta parte della popolazione prospettano eventualità quantomeno fosche, ci chiediamo se non possa farci bene ascoltare la lezione cilena e provare in prima persona a vivere un’analoga esperienza di collettivizzazione dei discorsi, delle esperienze e degli immaginari che segnano le nostre traiettorie di vita, ciascuna unica e allo stesso tempo in relazione a tutte le altre.

L’editoriale

In occasione dei recenti rivolgimenti che riguardano la vicenda costituzionale cilena, per questo appuntamento con il Malón ho scelto di prendere ispirazione e proporvi la traduzione di alcuni estratti di un testo recente dello scrittore Enrique Winter [La Palabra Quebrada 19: El Ciudadano 258]. Desideravo infatti, a fronte del mero dato storico e politico, porre l’accento sulle ragioni che hanno mosso e continueranno a muovere il popolo cileno, sulla prospettiva che li guida e sui principi del grande progetto collettivo che stanno perseguendo, per non perdere di vista il disegno generale. Eccovi dunque una breve corsa nel sogno cileno, che speriamo possa essere di ispirazione per tutti noi.
Grazie a tutte e tutti voi per leggerci con tanto affetto.
Paolo Primavera, editore di Edicola

La proposta costituzionale cilena è un’impresa unica al mondo con radici popolari e paritarie, capace di entusiasmare non solo per il suo carattere plurinazionale (per la prima volta avrebbero potuto essere riconosciuti i diritti ancestrali dei popoli originari, i cui membri sarebbero stati anche parte attiva della vita politica) ma anche perché “la nuova costituzione avrebbe rimpiazzato ciò che già c’è, e cioè uno Stato sussidiario, con ciò che ancora non c’è ma dovrebbe esserci, uno Stato solidario e sociale”, come si è espresso recentemente lo scrittore Enrique Winter: uno Stato che si basi su un senso comune della dignità dell’essere umano e dell’ambiente che abita.
Fino a tempi recentissimi, poco oltre vent’anni fa, solo gli uomini nascevano “liberi ed uguali in dignità e diritti”, mentre il nuovo testo proponeva di considerare “in condizioni di sostanziale uguaglianza anche donne, uomini, dissidenti sessuali e di genere”. Tra le nuove garanzie, che sempre più si affermano in ambito socio-culturale e normativo, figurano l’integrità fisica, psicosociale, sessuale e affettiva, i diritti delle persone con disabilità e neurodiversità, dei detenuti in carcere, anche rispetto al diritto a spazi per lo studio, il lavoro, lo sport, le arti e le culture. La proposta costituzionale del Cile ci ha mostrato le autentiche finalità dell’educazione: “la costruzione del bene comune, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e della natura, la coscienza ecologica, la convivenza democratica tra i popoli, la prevenzione della violenza e della discriminazione, così come l’acquisizione di conoscenze, di un pensiero critico, la capacità creativa e lo sviluppo integrale delle persone, in considerazione delle sue dimensioni cognitive, fisiche, sociali ed emotive”. L’educazione deve tornare a essere gratuita e “nelle scuole di formazione delle forze armate e di polizia deve essere adottata una prospettiva di genere”. Il dibattito sulla nuova costituzione ha aperto una discussione sulla necessità di offrire cura, alloggi, ambienti sicuri e sovranità alimentare; accesso all’acqua e all’energia, allo sport, al piacere, all’interruzione volontaria di gravidanza, al riposo e al tempo libero.
Nella proposta cilena hanno trovato posto anche gli animali non umani e l’ambiente. Nelle sue pagine sono considerati beni comuni il mare territoriale e il suo fondo marino; le spiagge; le acque, i ghiacciai e le zone umide; i campi geotermici; l’aria e l’atmosfera; l’alta montagna, le aree protette e le foreste native; il sottosuolo, le acque, i minerali.
Cancellare la lavagna della vita a cui siamo abituati, gettare le basi per una società meno gretta, non è un sogno utopico ma un dovere morale, un imperativo che seguendo la strada tracciata dal Cile mi auguro che altri paesi possano recuperare e applicare nei rispettivi territori.