Un anno fa la scoperta di un documento andato perduto da molti anni ha riportato l’attenzione internazionale su alcuni fatti quasi dimenticati: nascosti in mezzo ai flussi migratori che portarono migliaia di persone a spostarsi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nazisti e fiancheggiatori in gran numero fecero perdere le loro tracce. Molti di questi approdarono oltreoceano e si stabilirono in diversi paesi dell’America latina, in particolare Uruguay, Brasile, Paraguay, Bolivia, Colombia e Cile. Si è tornati sui percorsi dei fuoriusciti nel marzo 2020, quando l’investigatore Pedro Filipuzzi ha recuperato una lista di 12mila nazisti che si rifugiarono in Argentina portando con sé il denaro sottratto alle vittime dell’Olocausto. La moneta tedesca non poteva essere cambiata direttamente in dollari: grazie all’intermediazione delle banche argentine, tuttavia, quel denaro poteva essere importato dalla Germania e trasferito all’estero o investito. Un rapporto del 1946 del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti individuava 750 imprese finanziate da questi capitali.
È noto l’acronimo ODESSA (Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen): si chiamava così un’organizzazione dedita a nascondere e coprire le tracce di gerarchi nazisti in fuga, assistendoli anche nei loro viaggi verso paesi “sicuri”. La vicenda divenne nota al grande pubblico negli anni Settanta prima con il romanzo di spionaggio Dossier Odessa di Frederick Forsyth e poi con l’omonimo film di Ronald Neame.
Una delle principali vie di fuga, chiamata Rat Line o Via dei Monasteri, passava per l’Italia, giovandosi di un supporto da parte della Chiesa di cui ancora non sono chiare le proporzioni. Riuscirono a nascondersi in questo modo, si stima, circa 5mila nazisti, tra cui criminali di guerra come Adolf Eichmann, Josef Mengele, Erich Priebke e non solo.
Un caso eclatante è stato, ed è tuttora, quello di Colonia Dignidad. Tra i nazisti che si avvalsero dell’aiuto dell’organizzazione ODESSA c’era il caporale delle SS Paul Schäfer, pastore protestante ricercato per abusi su minori che fuggì in Cile insieme a una congregazione di circa trecento tedeschi. La colonia assunse un impenetrabile modello di setta, un luogo ideale per sparire – o per far sparire: le tracce di molti desaparecidos perseguitati dal regime di Pinochet conducevano dietro le sue mura. Soltanto nel 2005 Schäfer venne arrestato e condannato per omicidio, abusi sessuali su minori, possesso di arsenale e tortura.
Nonostante la successiva apertura dei cancelli della colonia, molti lati della vicenda continuano a restare oscuri. In occasione dell’uscita di Sprinters, il nuovo romanzo di Lola Larra, ne abbiamo parlato con l’avvocato Hernán Fernández, che si è fatto carico della tutela legale delle vittime della Colonia. Nel corso della sua carriera l’avvocato si è impegnato per la promozione e protezione dei diritti dell’infanzia.

Come ha iniziato a interessarsi a ciò che avveniva dentro Colonia Dignidad? 
 Colonia Dignidad è rimasta a lungo una questione latente in Cile, con la sua storia di scandali e impunità, sin dalla fuga dei criminali nazisti dalla Germania negli anni Sessanta e poi con la denuncia del giovane e coraggioso Wolfgang Müller delle atrocità che continuavano a perpetrarsi, immediatamente dopo la sua fuga dalla colonia. È importante ricordare che negli anni Ottanta riuscirono a scappare il gerarca Hugo Baar e i coniugi Packmor, entrambi coloni, e a fornire dettagli di tutti i crimini che si commettevano. Tuttavia, né in Cile né in Germania si adottarono provvedimenti realmente efficaci per farla finita una volta per tutte con quel sistema. La sensazione che si percepiva era che “la Colonia vincesse sempre”.
Il mio primo contatto con la Colonia avvenne quando scoprii ciò che aveva dovuto vivere il primo bambino cileno messo in salvo, portato da sua madre via da quel sistema schiavista e di abusi sessuali organizzati; al principio non sapevo né immaginavo che i fatti fossero stati commessi a Colonia Dignidad e che avrei affrontato un’organizzazione criminale così potente.
Arrivai a questo caso perché mi occupavo già di abusi infantili. In seguito, ho accettato tutti i nuovi casi che venivano alla luce. Quel primo bambino ha in qualche modo aperto la strada affinché altri bambini potessero essere salvati e ha permesso che avessero visibilità anche le vittime cilene (adottate o trattenute anteriormente in modi fraudolenti) e le vittime tedesche messe a tacere dalla paura e dai maltrattamenti, nascoste per decenni dietro la recinzione di filo spinato.

Secondo lei, perché questa organizzazione ha resistito così a lungo nonostante le accuse e l’apertura della colonia stessa?
La Colonia ha persistito per così tanti decenni perché ha avuto più astuzia e potere di ben due Stati: lo Stato cileno e quello tedesco, entrambi responsabili di ciò che è accaduto. Non solo Cile e Germania non hanno fatto niente di efficace per arrestare i colpevoli, ma non hanno nemmeno mai aiutato le vittime, e questo è imperdonabile. Sono state le stesse vittime a intraprendere la lotta contro la Colonia, sono state le vittime a far cadere le mura e i recinti, con l’aiuto di persone incorruttibili che hanno partecipato alla lotta. Come dicevo, Colonia Dignidad non era solo uno Stato nello Stato, ma aveva più potere dello Stato stesso: era uno Stato al di sopra di due Stati. 

Ha incontrato molte difficoltà nel difendere le vittime?
È stata una lotta impari, in tutti gli ambiti. Colonia Dignidad aveva l’aiuto dei mezzi di comunicazione e dei servizi pubblici, trovava supporto tra i vicini, nei paesi e nelle città. Avvicinarsi a Colonia Dignidad era come entrare nel territorio oscuro di una potente mafia che controlla e vigila su tutto. Si imponevano la paura e gli interessi di parte. Però non è mancata la solidarietà: ci è arrivato l’aiuto di coloro che desideravano che le vittime, questa volta, vincessero.

 

L’intervista completa all’avvocato Hernán Fernández è stata pubblicata sulle pagine online del quotidiano Il Riformista. Puoi leggerla qui.