La città portuale di Valparaíso, chiamata familiarmente “Valpo”, dispiega sin dal nome le proprie bellezze. Non a caso, il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2003. Grazie alle funicolari – la più antica è l’Ascensor Concepción e risale addirittura al 1883 – è possibile risalire le colline e alzarsi al di sopra del caos del porto, per poi immergersi nuovamente in un labirinto di stradine ridisegnate dalla street art. Allo stesso tempo, la città rappresenta un importante polo economico e istituzionale del paese. Si stratificano, qui, gli spazi, le architetture, i linguaggi, le classi.
La città era amata da Pablo Neruda, che vi stabilì la propria dimora dal 1961 al 1973 presso La Sebastiana, abitazione magnifica, ariosa e accuratamente arredata dal poeta stesso, da cui è possibile godere – anche oggi che è stata convertita in museo – di una splendida vista sul mare. Ma è di un altro personaggio che si aggirò per le sue strade che ci parla in questa intervista Iván Maureira Ortiz, autore del romanzo Non leggere i fratelli Grimm.  Émile Dubois, nato Louis-Amadeo Brihier Lacroix e morto a soli quarant’anni nel 1907, si macchiò di diversi omicidi che ne segnarono il cammino dalla Francia al Cile. Dubois era noto come il Robin Hood cileno, o porteño: le sue vittime furono infatti usurai e affaristi e le sue azioni rappresentavano una rivalsa degli sfruttati contro la borghesia, rispondendo a un progetto più ampio di uguaglianza sociale. I suoi “bottini”, pare, venivano distribuiti ai più bisognosi. La sua tomba si trova proprio a Valparaíso e, come quella di altri eroi popolari, è ancora oggi possibile trovarvi doni e biglietti lasciati dalla popolazione locale. 

 

Nel tuo romanzo Non leggere i fratelli Grimm Valparaíso è un luogo stratificato e nostalgico, con forti legami con l’immaginario. Cosa ti affascina di questa città?
 
Valparaíso è una città favolosa, nel senso che è costruita su una serie di favole, a partire dalle poche certezze sulla sua fondazione (molti sostengono che non sia stata fondata, ma che venne abitata spontaneamente mentre si consolidava l’attività del porto), fino alle congetture sul suo destino, che si muove tra la totale decadenza e l’eterna promessa di una rinascita gloriosa. Per me Valparaíso è una città che sopravvive in equilibrio precario e questo le dona una bellezza senza pari, la bellezza particolare dell’abbandono.

La tua esperienza professionale con il patrimonio culturale urbano è entrata a far parte del processo di scrittura? Hai una visione particolare della città?
Valparaíso è una città unica in Cile e nel mondo, la cui posizione strategica sulle coste del Pacifico le ha donato un ruolo da protagonista agli inizi della globalizzazione, trasformandola in un faro della modernità e nel luogo più cosmopolita del paese nel XIX secolo. Con l’apertura del canale di Panama all’inizio del XX secolo, ha perso la sua rilevanza strategica ed è iniziata la graduale decadenza che l’ha portata a distinguersi, oggi, come una città che ha vissuto “tempi migliori” e che sopravvive come può, ma la cui grandezza si riflette ancora in una infinità di dettagli che emergono a poco a poco mentre la si abita. Non si finisce mai di scoprire Valparaíso, per questo è così affascinante.

Valparaíso è un importante centro istituzionale, culturale ed economico del Cile e al tempo stesso ha il proprio carattere. Come si relaziona con il resto del paese?
In Cile, Valparaíso è conosciuta come la capitale culturale. Il suo centro storico è stato nominato patrimonio dell’umanità. Nonostante questo, gli innegabili problemi di gestione e amministrazione che la affliggono da sempre costituiscono una minaccia alla conservazione dei suoi tratti caratteristici. Valparaíso è una città ricca dal punto di vista culturale ma povera di risorse economiche, profondamente libertaria e a suo modo anarchica, un animale fantastico difficile da domare, che nel paese genera amore e odio, ma mai indifferenza.

Nel corso del tempo a Valparaíso si sono stabiliti molti immigrati, tra cui tanti italiani. Ci puoi parlare di questa parte della sua storia?
Prima dell’apertura del canale di Panama, l’unico collegamento marittimo tra il Pacifico e l’Atlantico era lo stretto di Magellano e questo ha trasformato Valparaíso nel primo importante porto di questo lato di mondo e in un luogo molto ambito dalle potenze marittime del XIX. La sua posizione strategica ha garantito alla città un rapido sviluppo e ha attratto persone da ogni parte. Inglesi e tedeschi sono stati i primi a fondare colonie, collegi e istituzioni in determinati quartieri della città, adottando i modelli architettonici, religiosi e sociali delle loro rispettive culture.
A metà del XIX secolo si è poi verificata un’immigrazione di massa dall’Italia che ha comportato una nuova trasformazione della città. A differenza di inglesi e tedeschi, gli italiani – quasi tutti genovesi – non hanno formato comunità chiuse, ma si sono distribuiti in varie zone della città, dedicandosi a piccoli commerci. Questo ha permesso di diffondere la loro cultura e di generare forti vincoli con la popolazione locale, uno scambio che ha dato origine a una nuova cultura, né italiana né cilena, ma propriamente  porteña, regalando a Valparaíso un’impronta unica che sopravvive ancora oggi.

Émile Dubois, uno dei personaggi del tuo romanzo, è stato al tempo stesso una persona reale e una figura mitica, conosciuto come il Robin Hood cileno e strettamente legato alla realtà culturale e sociale di Valparaíso. Ce ne puoi parlare? La sua leggenda avrebbe potuto nascere in un’altra parte di mondo?
Émile Dubois ha trovato in Valparaíso lo scenario perfetto per svolgere la trama della sua storia che, così come la storia della città, è composta da un affascinante intreccio di fiction e realtà senza che sia chiaro dove finisce una e inizia l’altra. Per questo Dubois si è trasformato in una leggenda vivente e, dopo la sua morte, in un santo popolare.
Dubois era un attore conosciuto con il nome di Amedeo che lasciò la Francia dopo aver assassinato un uomo in scena, durante uno spettacolo. Fuggì in Sud America e in Colombia si unì ai movimenti sociali rivoluzionari. Dalla Colombia arrivò in Cile dove adottò il nome di Émile Dubois e dove rimase incantato dal movimento vertiginoso della Valparaíso di inizio ‘900, una città dove convivevano uomini dall’immensa fortuna e persone sprofondate in una enorme povertà. In questo contesto Dubois si trasforma nel primo serial killer del paese. Ma non si tratta di un omicida qualunque, perché sceglie le sue vittime tra gli uomini ricchi della città e questo scatena l’entusiasmo popolare. Quando viene catturato sceglie di occuparsi personalmente della propria difesa: il processo, in cui viene condannato a morte per fucilazione, cattura l’attenzione della città, la sua morte viene considerata un’ingiustizia. Per molti Dubois era un eroe più che un assassino e non meritava di morire, per questo gli viene ridata vita come martire che dall’aldilà aiuta coloro che non possono rivolgersi ai santi tradizionali. Dubois diventa il protettore di delinquenti e prostitute e in seguito il benefattore di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si sentono esclusi dal benessere sociale. Ancora oggi Émile Dubois è il principale santo popolare del porto: dire Émile Dubois è come dire Valparaíso e viceversa.