Prima di conoscere Solidea Ruggiero di persona, tra noi ci sono stati diversi scambi via email e al telefono ed è stato un amore fulmineo e intenso.

Io, che mi ritengo passionale, sono stata travolta dalla sua forza ed energia. Come tutti gli amanti che si rispettino mi ha dato del filo da torcere, ma quando ci siamo incontrate è arrivata la cosidetta tranvata.

Solidea non è solo una scrittrice: è un’artista in senso ampio. La scrittura è l’origine e il punto di ritorno, ma da lì si ramifica tutta la sua produzione, vasta e varia.
Per questo la presentazione del suo libro Io che non conosco la vergogna si è svolta in uno spazio pulifunzionale come quello del TAC Teatro di Milano.

Sapevo che sarebbe stato un incontro speciale col pubblico; non avevamo in mente una presentazione standard. Entrambe volevamo rivelare ai partecipanti la natura multiforme dell’autrice e dell’opera. E così è stato.

Ornella Bonventre, direttrice di TAC, ci ha abbracciati con le sue parole accoglienti e tutti noi presenti nella “Sala del dubbio” siamo stati immersi nel buio mentre dalla cassa veniva sparato ad alto volume “Io che non conosco la vergogna”, il racconto che ha dato il nome alla raccolta pubblicata da Edicola Ediciones.

Chi conosce Massimo Volume e/o Offlaga Disco Pax  ha forse provato una sensazione che potrei paragonare al ritrovare un ricordo nella propria memoria.

Solidea è rock, è elettronica, è punk.

Solidea racconta in mille modi e ce lo dimostra con le parole, coi suoni, con le immagini.

Dopo l’emozionante audio-pièce, come mi viene di definirla, viene proiettato il progetto video “Skin” da lei stessa ideato, curato e diretto.

Ecco l’ennesima prova di quanto questa donna sia carismatica ed esplosiva. Il suo corpo come una mappa di parole, sguardi, gesti, compulsioni si rivela agli occhi degli astanti. Quel corpo madre di tutti i corpi anche non suoi, che vengono narrati nella raccolta, quel corpo che si fa carne parlata e scritta.

E infine accolgo in scena lei e Silvia Conti, moderatrice attenta e sensibile.

Solidea sembra timida, intimorita; la voce bassa, lo sguardo sfuggente… per un momento resto spiazzata: dov’è la leonessa che ho visto fino a poco prima?

Invece è proprio lì davanti a noi e si sta spogliando davvero.

Se fossi stata intera, sarebbe mancato qualcosa” lo dice lei stessa ed è così: non può essere solo carogna, come si descrive poco dopo con feroce ironia. E mi viene in mente la performance di Marina Abramovich sulla quale abbiamo scherzato proprio durante il nostro incontro: “The artist is present”. Questa è la sua presenza rumorosa anche quando la voce è sommessa.

Via via che la chiacchierata va avanti, si sciolgono alcune tensioni emotive e c’è lo spazio per la battuta sarcastica, l’autoironia, i sorrisi, la lettura di alcuni brani (“Spaccata” letto dall’autrice” e “Io non sono uno scrittore” letto da me”).

Anche i presenti intervengono, sollecitati da Silvia ed è bello l’incontro e il re-incontro finale, esploso negli abbracci di ringraziamento. Nuovamente il corpo, dopo le parole, ha bisogno e voglia di avvicinare l’altro e conoscerlo.

Seguono foto semiserie libro alla mano, altri abbracci e battute e poi si va via tardi alla ricerca di un posto dove mangiare, ma soprattutto un angolo di mondo dove dire e dirsi.

Idea Solida di arte. Idea Solida di dubbio. Idea Solida di voglia e desiderio di dire e fare.

Solidea non è solo un’idea, è concretezza.

La aspetto ancora qui, per nuove avventure e parole.

Claudia Scano