Ho scuoiato il cervo e l’ho ridotto in una decina di porzioni che ho avvolto in foglie, facendone dei pacchetti ben legati da fibre vegetali. Ho poi scavato una buca nel terreno duro e freddo, un po’ con il coltellaccio e un po’ con le mani, in cui ho calato il mio bottino in modo che rimanga al fresco a frollare per un paio di giorni. Ho ricoperto la buca battendo per bene la terra e vi ho trascinato sopra un macigno per evitare che qualche animale lo raspi fuori. La mia dispensa è momentaneamente al sicuro, o almeno lo spero. Ho ripulito la lama del coltellaccio sporca di sangue e terra sulle mie brache non meno sudicie e mi sono sentito il nuovo Tommy Triplett. Ho arrostito un cosciotto di cervo che credo di essermi meritatamente guadagnato e ho mangiato di gusto, poiché non avevo nulla nello stomaco dalla sera precedente, ammirando il tramonto tra le montagne, finalmente soddisfatto e in pace con me stesso. Domani tornerò alla caverna del mylodon per recuperare gli attrezzi; presumo che dovrò fare un paio di viaggi perché ogni sacco pesa parecchio e il tragitto è lungo e scomodo. Poi inizierò a costruire la mia nuova casa. Devo risparmiare inchiostro, l’ultima boccetta si sta esaurendo, ma lo devo conservare per annotazioni meno futili di quelle che vado stendendo su questo mio diario privato, sebbene ciò mi faccia enorme compagnia e aiuti a scacciare malinconie e nostalgie. Avvolto nella coperta di lana che trattiene afrori di sudore e di vecchia pecora mi concedo un sonno ristoratore sotto la luce delle stelle.

Il Cile, terra fascinosa e ricca di contraddizioni e problematiche, che è stata violata e vituperata dalla protervia delle dittature militari e non solo, è, per noi che ci affacciamo sul mare nostrum e siamo un popolo di migranti, anche se ora che abbiamo assaporato il benessere ci fa comodo dimenticarcelo, dall’altra parte del globo terracqueo, e con ogni probabilità nel milleottocentosessantanove, l’anno del canale di Suez e del brevetto della celluloide, veicolo indispensabile e primigenio per quel sogno chiamato cinema, al giovane naturalista Federico Sacco che voleva esplorare la Patagonia e che lì scomparve, lasciando un diario di estremo interesse per la società geografica e per tutti noi, dev’essere parso ancora più lontano. Paolo Ferruccio Cuniberti, già semifinalista al Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza, pubblica con la sempre meritoria Edicola, che scova e regala al pubblico sempre dei gioielli preziosi e raffinati, dà voce in prima persona al succitato Sacco raccontandone la Ultima Esperanza: un’opera complessa, completa, totale, ammaliante, attraente, brillante, intima, di selvaggia e irresistibile beltà.

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