Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 19 ottobre 2019 su La Tercera (Culto). Per gentile concessione dell’autrice, la scrittrice e sceneggiatrice Nona Fernández, ne possiamo pubblicare una sua versione leggermente ampliata. Traduzione di Alice Rifelli e Marta Rota Núñez. La foto è di @jopeando.

Scrivere con i vestiti impregnati di lacrimogeni. Cercare di elaborare il battito della strada quando ancora ne fai parte, quando i piedi sono ancora lì, che scappano dai carri lancia acqua, che avanzano senza certezze, che si rifugiano in mezzo al resto, altre e altri come noi, noi che marciamo cercando di schivare il fumo e i carabinieri. È una festa, una protesta e una richiesta  iniziata con gli studenti che non hanno pagato il biglietto della metropolitana dopo l’aumento del prezzo. Poi l’intensità è aumentata e, senza che nessuno lo organizzasse, senza petizioni, leader o negoziazioni, è esploso il caos per le strade. E ci sono grida, e canti, e il rumore di chi batte sulle pentole, e fuoco e colpi. E di fronte a La Moneda, quando esco dal teatro dove lavoro, un uomo dice a un carabiniere che non capisce perché sta proteggendo privilegi che a lui non toccheranno mai. Sei un senza-classe, gli dice. Mentre una donna gli urla che ci stiamo uccidendo, ci stiamo suicidando da tanta disuguaglianza.

            Cammino dal centro di Santiago verso casa mia. Ore di camminata. La metropolitana chiusa, le strade occupate, impossibile trovare mezzi pubblici. Avanziamo a migliaia. Vedo ragazzi con la faccia da Joker urlare che questa rivolta è il finale perfetto per la grande beffa. Penso a quale grande beffa si riferiscano. L’aumento del biglietto del trasporto pubblico? Le successive dichiarazioni del ministro sull’argomento? I suoi consigli su come approfittare delle tariffe più basse uscendo di casa alle sei di mattina? La pizza che il Presidente Piñera si sta mangiando in questo momento in un ristorante chic, cieco di fronte alle richieste che vengono dalla città? Le pensioni miserabili dei nostri anziani? Lo stato deprimente della nostra scuola pubblica? Della nostra salute pubblica? La nostra acqua che non ci appartiene? La militarizzazione di Wallmapu, il territorio Mapuche? Gli evidenti montaggi organizzati dai carabinieri per incolpare i mapuche di atti delittuosi? Il trattamento vergognoso verso i nostri immigranti? La mancata applicazione della nostra timida legge che permette l’aborto solo in tre casi, grazie all’obiezione di coscienza instaurata dal governo a favore dei medici conservatori? La ridicola concentrazione dei privilegi nelle mani di una élite? La costante evasione delle tasse da parte di questa stessa élite? Gli scandali di corruzione e appropriazione indebita delle Forze Armate e dei Carabinieri? Il monopolio dell’informazione dei grandi gruppi economici, padroni di canali televisivi, giornali e radio? La costituzione scritta dalla dittatura e che ci governa ancora oggi? I nostri sindaci, deputati e senatori a favore di Pinochet? La nostra pseudo-democrazia?
            Le possibilità per definire quale sia la grande beffa sono infinite. E mentre ci penso, vedo che si avvicina un altro carro lancia acqua, e il mio corpo, istintivamente, con una saggezza che custodisce da anni, corre, si nasconde, si copre la faccia, e riesce a superare la situazione ancora una volta. Come ieri. Come il giorno prima.

Da quanti anni mi nascondo dall’acqua sudicia di questi carri?
Per quanti ancora continuerò a farlo?

            Procedo tra pentole, clacson e barricate. Non c’è luogo, nei tre quartieri che ho attraversato, nei quali la festa, la protesta e la richiesta non siano accese. Ma so già che cosa succederà tra poco. Lo immagino perché la mia memoria è testarda e non solo mi salva dall’acqua sudicia, ma mi fa anche da oracolo in questo déja vù autoritario nel quale circoliamo. Ci daranno la colpa. Ci diranno un’altra volta che la responsabilità è nostra. Ci etichetteranno tutti come delinquenti. Condanneranno la violenza come se non fossero loro, con la loro brutalità sistematizzata, a incitarla. E ci puniranno. Ci colpiranno in nome dell’ordine pubblico e della pace cittadina. E ci spareranno addosso, domani come oggi. Come ieri. Come sempre. E saranno incapaci di assumersi le proprie colpe, così come sono stati incapaci di ascoltare quello che i cittadini chiedono da anni e di generare le politiche pubbliche di cui abbiamo bisogno per farla finita con tutta, tutta questa frustrazione.

            Arrivo a casa dopo tre ore e mezza di camminata. Da fuori sento l’ululato insistente, turbolento e tenace delle pentole che sbattono. Nel notiziario vedo che il presidente Sebastián Piñera ha decretato lo Stato di Emergenza Nazionale. Ci sarà il coprifuoco e di nuovo, come in passato, non potremo uscire di casa la notte. Ancora una volta i salvacondotti, gli elicotteri, gli spari notturni, la paura e ovviamente le provocazioni militari per strada. Il tempo non passa, avanza all’indietro, scorre al contrario. Non siamo mai usciti dalla grande beffa. Questa è solo una riga in più della sua triste trama. Speriamo che il finale non ci faccia troppo male.

Nona Fernández Silanes
Santiago de Chile, Ottobre 2019