Avevo appena compiuto ventinove anni. Non volevo continuare a insegnare. Segretamente, sognavo di fare lo scrittore. Ma i miei racconti non mi avevano mai convinto, non li ritenevo abbastanza validi. Eppure non mi davo per vinto: un giorno sì e uno no mi sedevo di fronte al computer e cercavo di scrivere qualcosa.

 

Fratello cervo, Juan Pablo Roncone, Edicola. Traduzione di Giacomo Falconi. Copertina, splendida, allegorica e maestosa, di Hernàn Chavar. Con delicata intensità, limpida chiarezza, avvolgente empatia, classica nel panorama latinoamericano, eppure sempre originale, baluginante di magia nella sua austera realtà, nell’indagare l’intimità dei suoi personaggi, che traggono la loro forza dal pudore, dalla sobrietà, dall’anonimato, dalla non sterile ma semplice rassegnazione agli eventi, perché sono persone normali, comuni, che non eccellono in nulla ma che sanno affrontare tutto, poiché sono donne e uomini abituati a non farsi illusioni, che conducono un’esistenza senza fibrillazioni, che sono come noi, che siamo noi, che sono i nostri amici che trascuriamo e da cui ci sentiamo trascurati perché tutti presi da occupazioni d’importanza niente affatto prioritaria e dal desiderio di fare in ogni occasione del nostro meglio, Roncone mette in scena una commedia umana fatta di mille sfumature: ogni racconto è una sequenza, un fotogramma, un filo d’una trama più grande, una tessera di un mosaico che attraverso questa raccolta abbraccia l’immenso.

 

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