Pubblicato da Edicola Ediciones, il libro firmato da Mirko Orlando è un interessante mix di fumetto e fotografia, che con un approccio al contempo giornalistico e poetico, affronta il tema dell’immigrazione in Italia. 

Se ormai alla graphic novel è stata ampiamente riconosciuta un’importanza praticamente pari al romanzo tradizionale (o quanto meno si tratta di una forma di narrazione apprezzata e sdoganata), è un fatto più recente quello di fare approfondimento giornalistico attraverso la lente del disegno, del fumetto. In tal senso, l’ultima opera di Orlando si inserisce nel filone del cosiddetto graphic journalism, in maniera chiara quanto personale e particolare. Orlando, però, non si accontenta di realizzare un reportage per immagini disegnate (in tal senso uno dei precedenti più illustri è il racconto di Zerocalcare sulle vicende di Kobane, pubblicato su Internazionale) ma opta per la commistione di fumetto e fotografia.

Tutto torna se pensiamo alla sua formazione, al crocevia tra pennelli ed rullini, illustrazione e appunto fotografia. L’autore si complica ulteriormente il lavoro affrontando un tema sensibile e spinoso come quello della condizione dei migranti nel nostro Paese. Ma del resto, lo si sottolinea chiaramente, si tratta di un’opera che vorrebbe provare a combattere il silenzio assordante attorno ad alcune questioni, che tradotto vuol dire paradossalmente il rumore becero nell’affrontare problemi complessi in maniera semplicistica o peggio sensazionalistica.

Orlando parte dal concetto e dal paradosso dell’etimologia di “paradiso”, da ricondurre al termine “recinto”: quello che potrebbe essere un rifugio ovattato (un porto sicuro, verrebbe da dire…) diventa in realtà una gabbia ostile, un limbo circondato da muri e filo spinato. Come accennato, la questione è certamente molto ampia: né l’opera di Orlando né tanto meno questa recensione vogliono offrire soluzioni facili/immediate o scadere nel cosiddetto “buonismo” (termine ormai un po’ abusato).

Piuttosto l’intento è quello di mostrare con occhio critico alcune falle nella narrazione pubblica – eccessivamente edulcorata o al contrario enfatizzata – della faccenda. Così il fotografo-illustratore si cala a 360° nella vita di un migrante approdato su suolo italico, passando intere giornate in luoghi “caldi” come il Moia di Torino, il ghetto Borgo Mezzanone in provincia di Foggia oppure tutto il crocevia della Val Susa, fino ad arrivare al famigerato confine con Ventimiglia.

Nelle foto, predilige inquadrature ravvicinate, di forte impatto emotivo. Nel disegno, utilizza un tratto marcato e caratterizza i suoi personaggi con mani molto grandi ma vuote: forse una metafora di grandi potenzialità che si scontrano con un senso di impotenza.

Partendo dal principio che è pur vero che la diversità fa paura e attraverso le storie di tre protagonisti anonimi ai quali si fa riferimento con le lettere N, J, ed L, Orlando racconta senza il filtro televisivo o dei social network, una realtà fatta di luci e ombre, che comunque la si pensi andrebbe gestita con più umanità, lungimiranza e riflessione.

Pubblicato su Outsiders webzine.