di Serena Anselmini

Edicola è una piccola casa editrice che vive e pubblica fra Italia e Cile. Un ponte fra due mondi: la terra natia e quella d’adozione di Paolo Primavera, fotografo documentarista originario dell’Abruzzo ma da anni stabile nella terra di Pablo Neruda e Gabriela Mistral, fondatore di questa “casa editrice garibaldina”, come la definisce lui in onore dell’eroe dei due mondi, che oggi gestisce insieme alla moglie Alice. Paolo e Alice ci hanno raccontato la loro storia e i loro progetti in una lunga chiacchierata, eccola!

La storia della vostra casa editrice è molto speciale, a partire dal nome. Ce la raccontate?

Paolo: Edicola nasce agli inizi del 2013 in Cile, dove io vivo da 10 anni e dove da un anno vive anche Alice. L’idea di pubblicare in due lingue è partita essenzialmente dal disagio di non poter trovare libri in italiano in un paese straniero. Gli ebook non erano molto diffusi e quindi era un problema molto reale. Ecco perché abbiamo deciso di fondare una casa editrice che facesse da ponte culturale fra i due paesi e che, attraverso le traduzioni, portasse contenuti cileni in Italia e italiani in Cile. L’abbiamo chiamata Edicola perché la mia famiglia ha un’edicola a Ortona, il paese in cui sono nato, che oggi è anche la sede legale della casa editrice. La mia famiglia la gestisce da più di 100 anni, io sono la pecora nera che non ha seguito la tradizione, però l’ho resa l’unica edicola con una casa editrice al suo interno!

Alice: Io sono arrivata a Edicola dopo, ma fin da subito ho capito che Paolo aveva avuto un’ottima intuizione: sia in Cile che in Italia c’è molto interesse per l’altro paese, e più in generale per tutto quello che ha a che fare con un mondo lontano. La letteratura ha la capacità di portare in altri mondi, di traghettare storie, realtà, riflessioni e personaggi da un paese all’altro e questo è quello che cerchiamo di fare con i nostri libri.  Quello che, secondo noi, fa la differenza è vivere fisicamente in entrambi i paesi, dividendo più o meno l’anno a metà, e quindi poter respirare il clima culturale e sociale di entrambi. L’Italia è il nostro paese, è vero che Paolo se n’è andato 10 anni fa però ha sempre mantenuto un forte legame con le sue origini. Paolo conosce il Cile molto bene, lo respira, lo vive, sa sempre quello che succede, è proprio come se fosse la sua seconda patria e anche io sto imparando a conoscerlo. Quindi, a differenza di quanto succede con altre case editrici che si occupano di letteratura estera, noi abbiamo l’opportunità di vivere e avere contatto diretto con le due realtà. Questo ci succede soprattutto con il Cile, infatti il catalogo si è arricchito di nomi molto importanti della letteratura contemporanea cilena come Nona Fernandez o Alejandra Costamagna. Sono persone che conosciamo personalmente, che frequentiamo, con cui possiamo dialogare e con cui possiamo realizzare delle attività concrete, come ad esempio la lettura guidata del libro Space Invaders che abbiamo affrontato con tre classi di una scuola media italiana in cui si studia lo spagnolo, culminata in una videoconferenza con l’autrice. Per quello che riguarda portare la letteratura italiana in Cile, proprio adesso stiamo ragionando su figure storiche che possano essere rappresentative della modernità del nostro pensiero.  È importante trovare personaggi emblematici, cogliere il succo dei due paesi, metterlo in lettere e farlo viaggiare attraverso i libri.

Paolo: Contemporaneamente continuiamo a inseguire l’obbiettivo di poter leggere nella propria lingua in un paese straniero. In Cile vendiamo libri in Italiano e abbiamo piano piano avvicinato la colonia italiana; in Italia vendiamo quelli in spagnolo: abbiamo scoperto al Salone di Torino che sono molti quelli che leggono in questa lingua, per origini, per studio, per passione. Pensiamo che questo sia un valore aggiunto al libro stesso: il libro è sì un prodotto, ma anche uno strumento per avvicinarsi alle proprie radici, alla tua lingua madre, quando vivi in un territorio diverso da quello in cui sei nato.

Proprio per questa concezione del libro come strumento per trasmettere contenuti da un mondo all’altro, avete ragionato molto anche sul formato dei vostri libri: scegliete una letteratura “portatile” che possa viaggiare e spostarsi facilmente con noi, da un posto all’altro, da un mondo all’altro.

Alice: È vero. Mi colpisce sempre il fatto che i ragazzi giovani che incontriamo agli eventi nelle scuole molto spesso non si rendono conto di avere la possibilità di avere in tasca una biblioteca intera, mi riferisco ovviamente al cellulare. Non lo sanno, se lo dimenticano, non ci pensano. Noi concepiamo i nostri libri quasi come sostituti del cellulare nella tasca delle persone, per questo scegliamo sempre dei libri piccolini, che siano “portabili”. Non vogliamo che siano solo oggetti lontani, da relegare negli scaffali alti della libreria, che per raggiungerli ci vuole la scaletta. Vogliamo che siano qualcosa che uno si porta sempre addosso, anche nella frenesia della vita di oggi, con i ritmi spezzati: ho 10 minuti? Apro e leggo. Per farlo, ovviamente, ho bisogno di libri comodi da portare con me. Un latro motivo è che i libroni spesso creano timore in chi non ha l’abitudine alla lettura, un altro motivo per cui tendiamo a ragionare su libri a bassa fogliazione e sicuramente anche perché in questo modo i costi sono più contenuti e invogliano a comprare.

Paolo: Aspiriamo alla dimensione di un tablet, affinché la mole non diventi una scusa per non leggere. I nostri titoli, infatti, sono disponibili anche in formato elettronico, la diatriba fra carta e digitale non ci interessa. Ci interessa che i nostri contenuti vengano letti, che anche le persone che non leggono abitualmente trovino il modo di godere della soddisfazione di cui godiamo tutti quando finiamo un libro. Il fatto che siano piccoli non significa che non siano libri importanti. Io sono molto contento del nostro catalogo: al momento, fra italiani e cileni, abbiamo pubblicato 25 libri. Sono tutti titoli sottili, ma contengono storie potentissime.

Alice: La sfida è quella di trovare un contenuto “grande” che stia in una forma piccola. Grande nel senso di qualcosa che riesce ad andare in profondità, che riesce a scavare, a colpire. Una cosa molto bella che ci è capitata è che molte persone ci dicono: «Ho letto il vostro libro tale e l’ho riletto subito dopo» perché un contenuto condensato in un numero di pagine ridotto non spaventa, e il lettore capisce che può esplorarlo e andarne in profondità anche con due, tre letture.

Un altro ambito in cui siete molto attivi sono i progetti che realizzate nelle scuole, come quello che citava Alice realizzato con Nona Fernandez. Sicuramente questa è una grande opportunità per i ragazzi per conoscere culture diverse e ha anche un grande valore nell’apprendimento della lingua. Qual è stata la vostra esperienza a riguardo?

Alice: È un ambito che finora abbiamo esplorato solo in Italia, ma che ci ha dato grandissime soddisfazioni e su cui vogliamo continuare a puntare molto, perché lavorare con i ragazzi è molto stimolante ed è importante sia dal punto di vista culturale che linguistico, come dicevi tu. L’aspetto della lingua è curioso: c’è una grande differenza fra i ragazzi di diverse età. I bambini delle elementari sanno lo spagnolo, lo capiscono anche senza averlo studiato. Fra le attività che abbiamo svolto ci sono stati dei laboratori di arte e cultura dell’integrazione con l’illustratrice cilena Francisca Yañez, noi eravamo presenti per tradurre, per supportare la comunicazione, ma i bambini di terza-quarta elementare non ne avevano assolutamente bisogno. Crescendo invece cresce anche l’imbarazzo, la vergogna, anche quando si tratta di studenti che imparano quella lingua a scuola.

Paolo: I ragazzi adolescenti hanno questa difficoltà: il timore di non sapersi esprimere perfettamente che abbiamo tutti molte volte, invece per i bambini delle elementari l’importante è innanzitutto comunicare. E per antitesi funziona anche l’orecchio!

Ci avete parlato di molti progetti che avete realizzato in Italia, ma siamo curiosi di sapere quello che fate in Cile per promuovere la nostra cultura!

Paolo: In Cile siamo in ottimi rapporti con l’Istituto Italiano di Cultura; la direttrice Anna Mondavio è una persona molto aperta alla diffusione della cultura italiana e sposa la nostra visione. Non abbiamo mai avuto alcun tipo di limite nel parlare di dittature, popoli indigeni, minoranze etniche ed è molto importante avere questa libertà di espressione per il lavoro che facciamo noi. Lo stesso è successo in Italia, nelle scuole grazie allo splendido lavoro degli insegnanti, che ci hanno permesso di parlare di questi temi non sempre semplici da trattare, ma che allo stesso tempo è importante portare alla luce, facendo spesso similitudini con periodi altrettanto bui che abbiamo avuto nella storia italiana. Tornando al Cile, abbiamo organizzato un ciclo di conferenze con personaggi della letteratura cilena che avessero avuto una relazione diretta con l’Italia alla Biblioteca Nacional di Santiago, un edificio bellissimo che ha più di 300 anni di storia. Sono intervenuti personaggi come il poeta Raul Zurita, lo scrittore Jorge Baradit, la scrittrice Maria Jose Viera-Gallo e Antonio Skarmeta, autore del romanzo da cui Troisi ha tratto Il Postino. Ognuno di loro era invitato a parlare appunto della propria relazione con l’Italia, che fosse di stampo letterario, storico, cinematografico nel caso di Skarmeta. Nessuno di questo quattro incontri è stato un monologo, ma più un dialogo con il pubblico che è sempre assetato di diversità e di distanza. Per il resto, cerchiamo sempre di favorire l’intreccio, anche a livelli più umili: organizziamo presentazioni al di fuori dei luoghi istituzionali, cerchiamo di scendere in strada. Una delle nostre missioni è quella di avvicinare davvero i lettori e cercare di capire che sono tutti diversi, hanno esigenze e gusti diversi come tutti gli esseri umani. Proprio come avviene per le persone, è sbagliato definire i lettori in un solo modo. Ci piace ascoltare, soprattutto.

In Cile fate anche parte della cooperativa Editores de la furia, che riunisce 35 case editrici indipendenti e che si sta imponendo sempre di più nel panorama editoriale cileno. Di cosa si tratta?

Paolo: La furia è prima di tutto un gruppo di amici. Fra noi è assodata l’idea che ognuno deve badare al proprio orticello, però un giorno abbiamo pensato che tutti questi orticelli, uniti ideologicamente, potessero rappresentare in modo più potente l’idea di editoria che ci accomuna e a mantenerla viva. Ci sono case editrici microscopiche, poi ci sono quelle piccole, quelle medie, ci sono case editrici grandi, ma concordi sul fatto che il libro non è solo un prodotto, ma anche uno strumento per superare ogni tipo di differenza sociale: da quella economica, a quella culturale, a quella territoriale. Il Cile è un paese lungo 4300 km, ha 17 milioni di abitanti di cui 8,5 sono a Santiago: i libri circolano, ma non abbastanza, proprio perché la geografia non lo permette. Come cooperativa organizziamo biblioteche comunitarie in zone poco accessibili, destiniamo parte dei nostri cataloghi e della nuova produzione a questi progetti. Abbiamo negoziato a lungo con lo Stato e il Consiglio delle Arti e della Cultura per favorire la vita economica delle piccole case editrici: abbiamo ottenuto la cancellazione del costo di spedizione per partecipare a eventi e fiere del libro in altri paesi, abbiamo snellito molto la burocrazia e la contabilità necessarie. In La furia, ognuno ha un ruolo: Edicola in particolare si occupa dell’internazionalizzazione del contenuto cileno, quindi quando giriamo per i festival nei nostri tavoli di negoziazione dei diritti c’è il catalogo della nostra casa editrice ma anche quello di tutte le altre. Il filo conduttore è monitorare, proteggere l’editoria nazionale e studiare le necessità dei più piccoli per portarli avanti insieme ai medio-grandi.

Pubblicata nella Scimmia dell’inchostro, il blog di Goodbook.it