Uno scrittore si rivolge alla figlia di un uomo assassinato dalla polizia durante le proteste.
Di fronte alla foto del funerale di Álex Núñez, assassinato dalla polizia cilena durante le manifestazioni, lo scrittore Simón Ergas riflette sul privilegio di essere stato accompagnato ad affrontare  la morte della madre, avvenuta quando aveva otto anni. Un privilegio che alla figlia di Núñez non è stato concesso. La traduzione è di Giulia Endrizzi, che in questo momento si trova in Cile. Simón Ergas ha scritto per noi un’altra cronaca, Sono zoppo (atto di indipendenza).  

Non la conosco. Presumo che sia la figlia di Álex Núñez, una delle persone assassinate dalla polizia cilena durante le manifestazioni. Lei è lì attaccata, incapace di lasciarlo andare perché lui non l’ha salutata per l’ultima volta, probabilmente non avevano mai parlato di questa possibilità e questa bambina è rimasta con i suoi occhi neri fissi nel vuoto e nei fiori. La polizia cilena ha colpito un uomo alla testa fino ad ammazzarlo. Ogni calcio e bastonata che il padre ha ricevuto ha colpito anche gli occhi neri di questa bambina che non l’ha più potuto avere con sé.

Mia madre è morta di cancro quando io avevo otto anni. Lei l’aveva saputo almeno due anni prima. Dev’essere stato terribile parlarne, però aveva deciso di farlo, aveva voluto dirmi che prima o poi mi avrebbe lasciato in mezzo al cammino. Chiaramente allora non ero riuscito a capire, sono riuscito a farlo solo molti anni dopo, passati i trenta. Ho pianto molto, ma non durante il suo funerale perché grazie al suo sforzo la sua morte non ci ha colti impreparati. Ho pianto con lei, prima che succedesse, prima che la minaccia diventasse realtà. Non ho pianto solo. È stato doloroso, ma non devastante.

Mi piacerebbe poter condividere con la bambina della foto, la bambina con gli occhi più scuri, il privilegio che ho avuto io. Mi piacerebbe condividere la possibilità che ho avuto io di essere accompagnato ad affrontare la morte, perché non voglio che lei si allontani da quella bara, quella che fino a quel momento l’ha protetta, perché quando lo farà scoprirà che suo padre non è stato conteggiato tra le vittime della violenza della polizia fino a quando non è intervenuto l’Istituto nazionale per i diritti umani. Preferirei che non sapesse neanche degli intellettuali che sono proliferati in ogni angolo, come ragni velenosi, per sentenziare con citazioni del secolo scorso che suo padre fu assassinato durante manifestazioni in cui la verità era assente. Eviterei di farle ascoltare tutte quelle frasi offensive che i ministri di questo governo hanno utilizzato contro le persone, abituati a tenerle alle loro dipendenze e a farle sottostare ai loro ricatti attraverso le banche. Proverei a non farle sapere, come non ha fatto in tempo a sapere suo padre, che gli artefici di questa situazione, dopo aver dichiarato guerra e sparato contro il loro popolo, hanno bombardato il mondo con irrisorie dichiarazioni d’ammirazione per la grande manifestazione che intanto stavano reprimendo. Spero che i suoi occhi neri non abbiano sentito i mezzi di comunicazione usare i verbi coniugati al passato, come se la nostra volontà facesse parte di un racconto scritto da loro: il Cile è cambiato, hanno detto. Quello che è cambiato è che questa bambina ora non ha più un padre.

Mi tiene sveglio il pensiero che lei avrebbe dovuto piangere con lui ancora in vita, con la consapevolezza che prima o poi sarebbe morto, come facciamo ogni giorno tutti noi. Ma quello che ha avuto, invece della bellezza che meriterebbero i suoi occhi neri, è la durezza di una bara di legno laccata con fantasie economiche. Mi piacerebbe poter condividere con questa bambina il privilegio che ho avuto io, perché suo padre avrebbe evitato di farle sentire le opinioni di personaggi che elogiano lo sviluppo materiale del Cile, ciechi di fronte all’estremo indebitamento (perché non lo vivono), alla concentrazione della ricchezza (perché la possiedono) e all’appropriazione legale delle risorse naturali grazie a una legge promulgata durante la dittatura (perché ne traggono beneficio). Qualcuno dovrebbe evitare di farle leggere le parole di un certo Oppenheimer, il cui unico vanto è quello di avere il numero di telefono di Ricardo Lagos per affermare, come Piñera, come i ministri, che il suo sistema funziona così bene da non rendere possibile il fatto che stiamo protestando proprio contro di esso. Il sistema funziona così bene che il nostro malcontento ha origine nella nostra incapacità di utilizzarlo. Il sistema funziona così bene che siamo stati colpiti da una guerra intergalattica di alieni violenti come il padre di questa bambina, l’uomo da cui ha preso questi occhietti neri che non coglieranno mai più il colore dei fiori.

Pensano che stiamo protestando perché vogliamo per noi quello che loro hanno ricevuto da un dittatore che a sua volta ha visto la polizia innaffiare il suo giardino con il sangue.

Non avranno mai il privilegio di condividere la dolcezza di questi occhi neri con i quali saremo in debito per sempre.
Dobbiamo loro quello che anche suo padre ha voluto: costruire di nuovo questo paese.