Arriva oggi in libreria La casa sul cartello di María José Ferrada, una fiaba per adulti che parla di comunità e dei confini che impone, di marginalità ed estraneità, ma anche dell’anelito a liberarsi dai suoi vincoli.
La scrittura di Ferrada si regge su una voce capace di librarsi sulle cose, allo stesso modo dei personaggi che scaturiscono dalla sua penna. La dimensione della tragedia e del conflitto è sempre presente e consapevole, ma si intreccia strettamente a una lievità estremamente matura. Ferrada è una scrittrice che è riuscita nella sua evoluzione personale a integrare lo sguardo e l’intelligenza dell’infanzia con le acquisizioni della crescita, senza che queste parti si neutralizzassero a vicenda.Chi non ha mai avuto una tentazione di fuga? Ma soprattutto, viene da chiedersi se non sia il caso di parlare della tentazione di restare, di non muoversi, di non cambiare sé stessi e le cose. Per comprendere questo bisogna imparare a muoversi sul margine, sugli spazi liminali: ne abbiamo parlato con l’autrice.

La casa sul cartello è il tuo secondo romanzo, ma hai all’attivo anche un’importante produzione poetica: cosa ti fa preferire una forma all’altra? È una scelta basata sull’oggetto della tua riflessione o magari su un momento particolare della tua vita?
Credo che in un certo senso sia la storia a dettare la forma. Non mi ci soffermo troppo nel momento in cui scrivo, cerco solo di fissare la storia su carta nella sua versione migliore, di fare in modo che, una volta scritta, si avvicini il più possibile a come l’ho immaginata, anche nel ritmo. A volte raggiungo il mio obiettivo e a volte mi ci avvicino soltanto. Mi sembra che i narratori bambini permettano l’incrocio di generi perché la loro percezione fluida, agile e scorrevole del mondo li avvicina alla prosa ma, allo stesso tempo, nel loro parlato ci sono momenti di poesia. Poiché non ricorrono molto al linguaggio astratto, le loro associazioni sono libere e concrete, e mi sembra che questo li avvicini alla poesia.
 
Non ami insistere sulla distinzione tra letteratura per l’infanzia e per gli adulti. Puoi spiegarci cosa pensi di questa distinzione, che viene fatta comunemente?
Non è che non mi piaccia, è solo che non penso alla teoria mentre scrivo. Ovviamente quando si scrive una storia per bambini molto piccoli le frasi non possono essere troppo lunghe e le parole non possono essere troppo astratte. Ma a parte questo, non penso che sia così facile determinare l’età del lettore ideale di un libro. La questione dei generi, a sua volta, non mi sembra così stringente sotto questo aspetto, ma il mio compito è far sì che la storia sia resa nel miglior modo possibile, e tutto il mio impegno si volge a questo.
 
Cosa ti ha ispirata a scrivere la storia di Ramón? Da dove nascono questo personaggio e la sua scelta così particolare?
Ramón è ispirato a un personaggio reale, un uomo che ha vissuto realmente sopra un’insegna della Coca Cola. Da questa immagine nasce la finzione narrativa, che riguarda il modo in cui l’ambiente intorno giudica questa decisione e, in particolare, il modo in cui suo nipote, un ragazzo di nome Miguel, la osserva e la legge. Tutto ciò che gli adulti non capiscono e rifiutano, sembra invece avere senso per il bambino, che in qualche modo, verbalizzando ciò che osserva, agisce come specchio del mondo degli adulti e della sua violenza. Riflettere sulla libertà sembra interessare soltanto il bambino e Ramón, che la comunità considera un pazzo. Gli adulti, troppo preoccupati di rispettare le proprie regole o di ascoltare i propri discorsi, non partecipano più a questa ricerca. E anzi la trovano una possibilità molto fastidiosa.
 
La casa sul cartello parla, tra l’altro, di norme sociali e di emarginazione, di violenza e di abbandono. Come interpreta questi fenomeni lo sguardo di un bambino, che hai scelto per costruire il punto di vista del romanzo? Come descriveresti la posizione in cui si trova?
Il narratore bambino non dispone di tanti strumenti discorsivi, pertanto si riferisce alla realtà che percepisce in modo molto diretto. Non fa tanti giri di parole, non pensa troppo a quello che dice. Non ha nemmeno molto contesto a cui fare riferimento per leggere gli eventi, per cui è come se cercasse di mettere ordine in ciò che percepisce pur mancandogli sempre alcuni pezzi. In questo senso, lascia al lettore molto spazio per completare la storia attingendo alla propria esperienza.
 
Senza anticipare il finale ai lettori, la conclusione del romanzo combina resa e vendetta, tragedia e speranza. Qual è la tua lettura personale della storia che hai scritto? Cosa volevi lasciare ai lettori?
Credo che i romanzi richiedano un’interpretazione personale e assolutamente arbitraria della realtà. In questo senso, credo che la lettura che mi chiedi sia nel romanzo stesso. Vorrei lasciare ai lettori, così come ai protagonisti di questo romanzo, una libertà assoluta. Il romanzo parla di questo.