Credo che mio padre pensi che sono un fachiro

Per Tsonami

Credo che mio padre pensi che sono un fachiro, perché non ho un fidanzato da circa un anno. Siamo sinceri, i fidanzati mi sono sempre durati poco, qualche mese e ciao. Gli ultimi tre sono durati due, tre e otto mesi. Poi ho avuto due amanti: un attore e un poeta. Mio padre non li ha conosciuti, non glieli ho nemmeno menzionati, preferisco non parlargli dei miei amori falliti e dei miei amichetti del fine settimana.

Visto che non ho un fidanzato, ho il sospetto che lui stia lì tutto il tempo a chiedersi il perché e, guarda caso, ieri mi ha mandato un testo che ha dedicato ai percorsi dell’essere umano, e tra questi c’erano quelli del yogin e del fachiro, e il testo diceva che sono persone solitarie, che si allontanano dal mondo e che di solito non hanno una vita di coppia. E ovviamente parlava di tutto quello che comporta questa disciplina: silenzio, riflessione, canti, mantra, poco cibo, digiuni, eccetera. Ho pensato che fosse diretto a me, visto che, anche se non era indirizzato a me in modo esplicito, ero io quella che avrebbe dovuto sistemarlo e metterlo sul suo blog.

Non parlo a mio padre di tutte le cose che mi capitano. L’ho imparato da un manuale. In realtà non parlo a nessuno delle cose che mi capitano. Anche questo l’ho imparato da un manuale. Diceva: «È bene non parlare dei tuoi sentimenti agli altri, ti rende vulnerabile; è meglio tacere e vivrai più tranquilla.» Così ho fatto e, sì, da quel momento vivo più tranquilla.

Pensandoci bene, a fronte del sospetto che cova mio padre, credo di avere quattro possibilità:

1. Chiedergli direttamente se la pensa così.

2. Non chiedergli nulla e continuare a fare la stessa vita (opzione che scarto a priori, visto che faccio molta fatica a convivere con questo sospetto, non riesco a togliermelo dalla testa). 

3. Fare ancora più mia la disciplina del fachirismo e convertirmi in un fachiro. 

4. Trovarmi un fidanzato così mio padre la smette di pensarci.

Sinceramente non so che strada prendere, visto che da ieri sera, da quando sono uscita a bere qualcosa con D qui per la Barceloneta, non so proprio che strada prendere nella mia vita. Già fa male che tuo padre pensi questo di te, se poi c’aggiungi il fatto di non avere nemmeno un fidanzato fisso… Non so proprio cosa fare, perché mi sa che faccio lo stesso errore ormai da molti anni. Ok, sì, più o meno ho deciso: una telefonata mi ha fatto vedere la luce.

Credo che questo dolore e questa confusione mi abbiano portato a rendermi conto, o a credere di rendermi conto, di qualcosa, ieri sera, al terzo bicchiere.

Ho detto a D, sai, mi sono appena resa conto di una cosa pazzesca: sono innamorata dell’uomo che ho lasciato dieci anni fa, di F. Cosa? ha risposto D. Sì, cavolo, sono innamorata di F, il mio primo ragazzo, siamo stati insieme sei anni, siamo stati felici, abbiamo chiuso dieci anni fa, però, sai cosa? Sento che lo amo, sento che negli ultimi dieci anni non ho fatto altro che perdere tempo con uomini inutili, buoni a nulla, imbecilli, stupidi, disgustosi, e sento che finalmente l’ho capito. Ti sembrerà strano, ovvio, però credo di poter dire, a 33 anni, di aver amato una sola volta nella vita. Sì, una volta sola, e ho amato F. Pazzesco, cavolo, rendermene conto con dieci anni di ritardo. Eh sì… Dieci anni. E lo rivedo tutti gli anni in Cile, ogni volta che torno in Cile lo vedo in giro, e addirittura è venuto a trovarmi una volta a Barcellona, ma, lo sai, ha sempre una fidanzata, sempre, fidanzate che durano anni, storie di svariati anni, fidanzate brutte e belle, di tutti i tipi, ed è proprio questo che mi fa incazzare, che abbia sempre una fidanzata, al di là del fatto che siano belle o brutte, molte volte sono stata sul punto di dirgli qualcosa però non ne ho avuto il coraggio, e quando è venuto a Barcellona si è fermato a casa mia e voleva addirittura restarci per un po’, era arrivato dagli Stati Uniti, dallo Utah, stava scappando dai mormoni, mi ha detto che partecipava a un programma in una residenza per musicisti e che lì era pieno di mormoni e di gente strana, che uno l’aveva minacciato di morte, l’aveva portato di notte su una collina, avevano preso un’erba strana e a quel punto gli aveva detto che l’avrebbe ucciso, credo che se la sia data a gambe da lì fino a Barcellona per non rischiare di essere ammazzato da un mormone. Quella notte stessa ha preso un volo per l’Europa ed è atterrato da queste parti. Avrei dovuto dirgli qualcosa, ma no, la scema gli ha addirittura presentato un’amica polacca da sposare. Una roba orribile, perché l’ho fatto? D’accordo, era stato lui a chiedermelo, mi aveva detto che voleva conoscere qualcuno perché stava scappando dai mormoni. Sono stata una grandissima idiota, ma era stato lui a chiedermelo, e io adesso mi rendo conto che lo amo. Non avrei mai dovuto presentargli una polacca solo perché stava scappando dai mormoni. Sono un’idiota. Un’idiota. Lo sono stata davvero. 

Ma cosa stai dicendo? mi ha chiesto D. Non ci sto capendo niente. 

Sì, ascolta. C’è che lo amo e mi sono appena resa conto di non aver mai dato il giusto valore a quello che sento. L’ho rivisto un’altra volta, ed è stato quando è morta la moglie di un amico comune. Siamo partiti in pullman verso il sud del Cile. Sedici ore di pullman da Santiago a Valdivia. È stato un viaggio molto duro, quasi iniziatico. Stavamo andando a un funerale, al funerale della moglie di un caro amico, ma avevo la sensazione che stessimo seppellendo anche qualcos’altro. Forse avrei dovuto intuire che con quel funerale stavamo seppellendo anche tutto il tempo che non avevamo trascorso insieme, il tempo che avevamo perso. È una cosa che non ho mai capito, avrei dovuto chiederglielo. Abbiamo viaggiato per sedici ore fino a Valdivia, bevendo e mangiando panini lungo il tragitto. Su altri pullman viaggiavano altri amici, tra cui una mia vecchia fiamma, N, con cui avevo tradito F. A una fermata N mi ha proposto di andare a farlo nei bagni della stazione, e io gli ho detto che era un deficiente, che era sposato con una brasiliana, che deficiente che sei, N, cosa ti salta in mente di andare a farlo nei bagni di una stazione dei pullman se sei sposato con una brasiliana? E allora lui mi ha chiesto di sederci vicini per il resto del viaggio. Gli ho detto di no, assolutamente no, che avevo viaggiato con F e che sarei rimasta con F per tutto il viaggio e per sempre. E così ho fatto, sono tornata da F, e sono stata due giorni insieme a lui. Abbiamo accompagnato il nostro amico al funerale della moglie ed è stato orribile, triste. L’hanno seppellita in cima a una collina. Si vedeva che era una donna molto bella. Aveva trent’anni e ha lasciato un bambino appena nato. Dicono che fosse una donna stupenda. 

E io non gliel’ho mai detto, e avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto proporglielo. Avrei dovuto dirglielo lì: sposati con me adesso, subito; uno, due, tre, via. 

Un’altra volta ero a Valparaíso per presentare un libro. Gli ho chiesto se potevo fermarmi a casa sua. Abbiamo dormito nello stesso letto, è stato pazzesco. Ci sfioravamo appena, quasi senza toccarci, i nostri corpi erano allineati uno accanto all’altro, sembravamo sardine in scatola. Poi ci siamo svegliati, abbiamo fatto colazione e siamo usciti. È stato triste, abbiamo pranzato insieme e mi ha accompagnato alla stazione dei pullman. Gli ho fatto ciao dal finestrino. Mi sono sentita una stupida. Non gliel’ho mai detto, mai. Mi piacerebbe arrivare a casa adesso e dirglielo. 

Sei matta, mi ha detto il mio amico. Non dirglielo. Non essere stupida, è solo un’illusione. Non sarà, piuttosto, che ti senti sola? Sì, può essere, in parte, ma proprio questa solitudine mi ha fatto capire che è l’unico uomo che ho mai amato. Penso sempre a una mail che gli potrei mandare. Oggetto: Ti vuoi sposare con me? E spiegargli tutto. Non so, non ho mai chiesto la mano a nessuno. Potrei farlo. Ciao, F, vuoi sposarmi? Se mi dice di no, ok, perlomeno ci ho provato. L’ultima volta che l’ho chiamato per prenderci un caffè mi ha detto di sì, io ero a Reñaca in hotel con i miei e potevo fare un salto a Valparaíso a salutarlo. All’inizio mi ha detto di sì, che potevamo prenderci un caffè o cenare insieme, poi però mi ha detto di no, che era con la sua compagna e che lei era gelosa di me. Lo capivo, ma mi è dispiaciuto tantissimo. L’ho raccontato ai miei genitori però loro di solito non mi credono, mi dicono che sono emotivamente instabile, che esagero, e che non provassi a rifilargli altre stupidaggini. E in più hai sempre qualcosa da nascondere, mi ha detto mio padre, anche se non so cos’è, sarà sicuramente qualche cavolata.

Mi sono sentita davvero tristissima, perché mi ero sempre immaginata ad abitare con lui in una casetta, su una collina, che ne so, da qualche parte. Lui con la sua musica, io con quello che capita.

Ok, ma stavo dicendo tutto questo perché pensavo a mio padre e al fachirismo. Non so cosa fare per evitare che mio padre pensi che sono un fachiro. Credo che sia arrivato il momento di dimostrargli che non lo sono. A 33 anni suonati devo dimostrare a mio padre che non sono un fachiro. Papà, papà, non sono un fachiro, mi credi? Devo dimostrargli che sono una donna e che posso avere un compagno, dei figli, una casa, delle piante. Che non passo tutto il tempo a digiunare, riflettere, studiare e così via. Anche se non so se lo pensa davvero. Come potrebbe pensare una cosa del genere? Sarebbe strano. Stranissimo. Il punto è che mi sento davvero confusa, persa, con questa cosa di mio padre e il fachirismo, F, le scatole di sardine nel letto. E sì, credo proprio che lo pensi. Le riflessioni che mi invia sono messaggi indiretti. Messaggi subliminali. Credo proprio che pensi che sono un fachiro, o un yogin, non lo so… Credo che dovrei dimostrargli qualcosa, per togliere ogni dubbio. Prima cosa chiamare F e dirgli la verità, riprendermelo come fidanzato, come compagno, come amante, far sì che diventi mio marito e farci un figlio. Subito dopo chiamare mio padre e dirgli: Papà, mi sposo. Davvero, tutti gli uomini con cui sono stata fino a oggi non si possono minimamente paragonare a F. Sono tutti degli idioti. 

Ieri ho fatto un elenco dei miei ex fidanzati e ho mandato a ognuno di loro una mail, in uno stato di disperazione totale, visto che non sapevo cosa fare. E con tutti quanti ho fatto esattamente la stessa cosa, ho inviato una breve e dolce mail per sapere come stavano e fargli credere che volessi avere loro notizie, così loro si sarebbero sentiti bene e mi avrebbero risposto con una mail altrettanto dolce, quasi a voler riprendere da dove avevamo chiuso, e ovviamente, tutti mi avrebbero detto che sentivano la mia mancanza, e l’ho fatto, ho scritto a cinque ex fidanzati, tutta dolce, e loro hanno risposto nel modo giusto, tutti dolci, e mi hanno persino detto che sentivano la mia mancanza e ovviamente in tutte le mail il messaggio tra le righe era ti sto aspettando, ma dopo averle ricevute ho ripreso a odiarli e con molti ho di nuovo tagliato i ponti, mi sono comportata da stronza, maledetta stronza, e gli ho detto di no, non scrivo per riallacciare un bel niente ma solamente per chiudere qualcosa che non avevamo mai chiuso del tutto, qualcosa che avevamo lasciato in sospeso. Ad altri non ho nemmeno risposto.

Ogni tanto lo faccio. Questa è la mia paura, la paura di dire a F una cosa simile, e una volta ricevuta la sua risposta dolce, tagliare i ponti anche con lui. Però no, non credo che potrebbe succedere. Forse dovrei farlo adesso. Non lo so… forse così mio padre la smetterà di pensare che sono un fachiro, che vivo nella solitudine e nell’austerità, o magari non smetterà di pensare un bel niente, visto che forse non l’ha mai pensato.

Ma dimmelo tu, se farlo o no, per favore, mio caro D, dicevo al mio amico, tormentandolo. Vabbè, puoi farlo, dai, ti accompagno a casa tua. Alziamoci, paghiamo e andiamo dritti a casa. Fai il numero di F e via. 

Abbiamo pagato, camminato e siamo arrivati al portone. Ho cercato le chiavi nella borsa. Ho infilato la mano e le ho trovate al primo colpo. Abbiamo salito l’enorme scalinata e siamo entrati. Siamo usciti sul terrazzo di casa dove tengo il computer.

Chiamalo, mi ha detto il mio amico, fai il numero con Skype.

Di chi? Di mio padre o di F? 

E io che ne so, decidi tu. Devi mettere ordine.

Sono rimasta lì a pensare chi chiamare, se mio padre o F, e sul serio non sapevo scegliere.

Entrambi erano così lontani, a migliaia di chilometri di distanza. Ho acceso il computer, ho digitato la password di Skype. Si è aperto l’account. È apparso l’elenco dei miei contatti. Entrambi erano collegati, luce verde, collegati e raggiungibili. Oltre a loro erano in linea anche altri amici ed ex fidanzati di cui non me ne frega più niente.

D mi ha detto, muoviti, chiamalo e diglielo, io mi nascondo, parla tranquillamente, ma diglielo, siamo venuti qua per questo. Non lo so, non posso dirglielo, e il computer ha iniziato a suonare e si è accesa la luce ed era mio padre che mi stava chiamando. E ciao, papà. Tesoro, come va? Niente, sono con un amico. Ah, bene, ti voglio bene. Ti chiamo dopo. E la mamma, sta bene? Sì, tesoro, tutto bene. Divertiti, vai da qualche parte, non stare rinchiusa come… vabbè, figlia mia, non so, non rinchiuderti come… Non lo so, devi uscire, tesoro. Non rinchiuderti troppo, vai in spiaggia, vai fuori a cena con i tuoi amici. Sì, papà, proprio adesso sono con un amico e pensavamo di uscire a berci qualcosa. Perfetto, un bacio, tesoro. Un bacio, papà.

Ho troncato la comunicazione e ho chiamato F, immediatamente, per non pentirmene, e lui ci ha messo un po’ a rispondere, non rispondeva, di sicuro era occupato, stava facendo altro, e ciao F, come andiamo? Diglielo, diglielo, mi ha detto D, di fianco a me, e ciao, come va? Diglielo adesso, diglielo o glielo dico io. Ciao bellezza. Bene, e tu? Bene, tutto a posto, che bello che hai risposto, volevo parlare un attimo con te e dirti una cosa. Ah sì? Anch’io volevo proprio parlarti. Ah sì? Diglielo, sì, diglielo. Ok, che cosa volevi dirmi? Sì, volevo dirti… Sì? Che sto bene, e sono felice, felice, credo che presto diventerò papà. Ah sì? Sì, credo di sì, M aspetta un bambino, sarò padre. Oh, che bello, congratulazioni. Sì, grazie mille, un bacio… Sì, tesoro, sono felice, grazie. Grazie a te, un bacio, anch’io sono felice.

 

Tratto da Tutti pensano che sia un fachiro, di Claudia Apablaza