È molto facile individuare, fin da subito, quali siano le perle e quali siano le cicatrici; o, almeno, è facile darne una propria interpretazione, dopo aver letto “Di perle e di cicatrici” di Pedro Lemebel (scrittore e artista cileno). Le perle sono, a mio modesto parere, le piccole cronache di questo libro, una settantina in tutto, pezzi scritti per una radio, leggibili in 10 minuti, con intermezzi musicali, suppongo, interpretati con il tono di voce, mi immagino; le cicatrici invece sono le storie che Pedro Lemebel racconta. Lette una dietro l’altra, lette una “dentro” l’altra, danno l’impressione di scavare un buco nella carne, come l’unghia che cerca di alleviare il prurito e scarnifica la pelle.

Quindi, riassumendo, brevi cronache di qualche pagina, pensate per la radio, estremamente godibili anche per chi, in radio, non le ha sentite, ma soprattutto, queste cronache, fotografano perfettamente lo spirito del tempo che descrivono. Questi ritratti che si susseguono a raffica hanno la capacità di metterci davanti a figure che spesso sono attori di secondo e terzo piano. Quelle figure di cui un regime ha bisogno per arrivare al popolo, ma anche per arrivare alla cerchia di intellettuali, per giustificare l’orrore e per giustificarsi nell’orrore. Ecco quindi una sfilata di ballerine, politici da strapazzo, personaggi televisivi progettati per dare un’idea di conforto; ecco dunque la voce della dittatura che non parla più dall’alto, ma si insinua tra la folla, contribuisce ad eliminare con scientifica precisione l’ombra del dubbio, il rimorso, la possibilità che ci sia un’alternativa alla realtà progettata a tavolino. Imbonitori, donne regine del proprio salotto, influenze potenziate dal potere che, e qui sta la parte che accentua il dolore, riescono ad estendere la propria lunga mano anche dopo la fine del potere che le ha generate. Come se i cani seguissero sempre lo stesso padrone per abitudine, pur non sapendo se, quel padrone, ha ancora del cibo a disposizione. Cani che si fidano della poca memoria che conservano, che si dicono che se il padrone è stato all’apice una volta, può ritornarci anche se ora sembra in disgrazia. Stanno al fianco di una mano che può essere amica o nemica, ma non hanno altro stimolo.

Le cronache di Lembel si snodano tra interventi di costume, di politica e legati al sociale. Per l’ultima voce, mi sembra emblematico citare la cronaca in cui una ragazza viene attaccata dal branco e violentata. Senza possibilità di salvezza, senza la possibilità di vedere giustizia, con l’unica “colpa” di aver cercato di essere diversa dagli altri, con una minigonna e una scollatura. Ma lo sappiamo tutti che donne così le chiamano puttane, vero? Lo sappiamo tutti qual é la punizione che si meritano. Ecco, queste ultime due frasi sono la voce del branco, di un branco incapace di reagiere al proprio destino passivo e velenoso. Quel branco che vuole trascinare nel fango ogni persona che cerca di tenersene alla larga.

Serve una mente brillante per tratteggiare, in poche pagine, dei ritratti di questo tipo. Una mente in grado di afferrare la complessità generale e di distillarne l’essenza. Pedro Lemebel fa questo utilizzando una lingua ricca, una struttura della frase in cui, a volte, sembra che le parole siano attaccate tra loro da una forza magnetica che le rende più compatte di quanto appaiano sulla carta. Una lingua vitale che si regge su uno stile che sembra sempre sul punto di esplodere e traboccare dalla pagina. Solo unamente brillante poteva…Lemebel lo ha fatto.

Meravigliosa l’illustrazione di copertina di Tito Calvo e davvero pregevole la traduzione i Silvia Falorni.

Qualche parola va spesa anche nei confronti dei ragazzi di Edicola Edizioni che sono riusciti a portare in Italia, per la prima volta, questo bellissimo libro di Pedro Lemebel.

Pedro Lemebel nasce nel 1952 in un quartiere popolare di Santiago. Nel 1987 forma, con Francisco Casas, il collettivo Las Yeguas del Apocalipsis, trasformandosi in un mito della scena artistica cilena e nel simbolo internazionale della liberazione sessuale. Dal 1989 pubblica le sue cronache in Cile e all’estero. Nel 1996 conduce il programma Cancioniero di Radio Tierra. Muore all’alba di venerdì 23 gennaio 2015, all’età di 62 anni, lasciando un vuoto incolmabile nella cultura del paese.

In Italia, Marcos y Marcos ha pubblicato Ho paura toreroBaciami ancora, forestiero e Parlami d’amore.

 

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